Intervista a Michael Christopher Brown | di Claudia Cavaliere

“La praticità del telefonino ha cambiato totalmente il mio modo di fotografare”

Dieci anni fa Michael Christopher Brown, gravemente ferito in Libia l’anno dopo, fu il primo fotografo professionista a far ricorso all’iPhone e a entrare nella Magnum: “Ci sono tante immagini che rimpiango di non aver scattato, la più recente mi riporta in Cisgiordania…”

Fotografo e videomaker americano, Michael Christopher Brown conosce la fotografia grazie a suo padre. Nel 2010 è il primo fotografo professionista a scattare fotografie con l’iPhone, girando la Cina orientale a bordo del suo furgone Jinbei. Dopodiché diventa il primo fotografo con l’iPhone a entrare nella squadra dell’agenzia Magnum. Da allora ha realizzato lavori in Libia, Egitto, Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Cuba e Palestina. Nel 2011, Brown ha trascorso sette mesi in Libia documentando la Rivoluzione libica. Ha coperto diverse battaglie lungo la costa di questo Paese, dove è stato vittima di diverse imboscate.

Quando eri bambino, prima di incontrare la fotografia, chi sognavi di diventare?

Il primo desiderio è stato probabilmente quello di essere Indiana Jones.

Qual è stata la tua prima macchina fotografica e qual è il migliore ricordo che hai di te mentre la tenevi tra le mani?

Le mie prime macchine fotografiche sono state una Nikon e una Olympus OM-2, entrambe appartenevano a mio padre, che quando ero bambino possedeva numerose macchine. Adoravo quanto fosse piccola la Olympus, quasi riusciva a entrare nella tasca del mio cappotto, mentre ricordo che la Nikon era più resistente, ma un po’ più ingombrante. La parte migliore era sviluppare le foto e vedere cosa sarebbe venuto fuori da quell’immagine e come appariva nella stampa. Non mi divertiva tanto il processo dello scattare le fotografi e, quanto piuttosto la ricompensa che derivava dall’averlo fatto.

Quando è iniziata la tua carriera come fotografo? Chi o cosa è stato per te fonte di ispirazione?

I primi soldi che ho guadagnato dalla fotografia erano il frutto di una serie di scatti prodotti per un giornale universitario nelle Hawaii, per cui andavo in giro a fotografare una serie di luoghi. Mi avevano fornito un’auto ed era un modo per guadagnare qualcosa. Ho anche lavorato come segretario e giardiniere all’università, quindi la fotografia non era ancora un impegno a tempo pieno. Più tardi ho lavorato per un giornale locale settimanale nella mia città natale, nello stato di Washington. Mi paga- vano davvero poco, ma era entusiasmante vedere sui giornali in giro per la città le mie foto, molte delle quali scattate durante le competizioni sportive nei licei. La mia ispirazione è nata nella biblioteca locale, dove andavo a cercare le monografie di vari fotografi. Ovviamente tutto questo accadeva prima di internet.

Qual è stato il punto di svolta della tua vita? Hai sentito mentre accadeva che quel momento sarebbe stato determinante o lo hai capito dopo negli anni?

Il punto di svolta è coinciso sicuramente con la mia esperienza in Libia nel 2011. Lì ho scoperto qualcosa su me stesso e sulla fotografia, sull’essere realmente posseduti da un’ossessione. Sono stato molto vicino alla morte diverse volte e ho realizzato che era stata proprio la fotografia a condurmi in quel luogo, in quel momento, nonostante io stesso abbia messo in dubbio quella decisione e stia ancora, anni dopo, percorrendo il sentiero turbolento che mi ci ha condotto. (…)

 

 

ph. Bengasi, Libia. nella foto di Michael Christopher Brown, un rivoluzionario sventola la bandiera della Libia, settimane dopo che le forze governative hanno abbandonato la città nel 2011

 

L’intervista completa è pubblicata su Reportage numero 42, acquistabile qui in versione cartacea e in digitale.

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