Ceuta, l’anticamera dei migranti che si è trasformata in prigione | Testo e foto di Ilaria Romano e Romina Vinci

Sono ripresi, nella città autonoma, gli arrivi dal Marocco, a nuoto o via terra. Ma il confine con la Spagna è chiuso e presidiato dall’esercito, che negli ultimi mesi ha respinto 5.600 persone. Chi attende di passare preferisce accamparsi piuttosto che vivere nel Centro
di accoglienza. Le storie di Selima, Abdallah, Daudat, Abdul…

 

La camera di Selima e Ahmed è stata allestita con cura: una trapunta leggera a fiori blu, i cuscini, i comodini con le candele e il portacenere, intorno al letto alcune stampe e teli di stoffa colorati, che lasciano entrare un filo di vento e intravedere le foglie degli alberi. La stanza, che ha una piccola anticamera separata da altri teli, è stata costruita con pali di legno e vecchie lenzuola trovate chissà dove ed è tutto quello che possiede la coppia, da quando cinque mesi fa ha attraversato “il mare di nessuno” dal Marocco a Ceuta.

“Ho fatto tutto io qui dentro – dice Selima, mentre spegne la sigaretta e apre un piccolo quaderno dove ha scritto alcuni appunti del suo viaggio – con mio marito abbiamo deciso di partire a maggio, insieme a tante altre persone. In quei giorni c’erano pochi controlli e ci siamo buttati in acqua. Abbiamo nuotato per ore, di notte, ma il mare era calmo e ce l’abbiamo fatta”. Su entrambe le braccia e sul mento porta ancora i segni del viaggio, così profondi e rossastri che sembrano frustate. Sta provando a curarli con degli unguenti ma non guariscono: “Sono le meduse – spiega – in acqua se ne incontrano parecchie, ma ormai non fanno più male”.

Selima è marocchina, ha 27 anni ed è l’unica donna di questo piccolo accampamento sorto nel bosco nei pressi del Ceti, il Centro de estancia temporal de inmigrantes, una struttura pubblica che ospita i cittadini stranieri che arrivano nella città autonoma di Ceuta. Non lascia quasi mai la sua stanza, mentre il marito, algerino, ha fatto amicizia con un gruppo di giovani senegalesi che hanno costruito altre baracche poco più in là. Il più “anziano” della comunità è Abdallah, che ha 38 anni; dal Senegal ha preso un aereo per il Marocco, e da lì ha nuotato fino alla frontiera. Insieme a una ventina di altri ragazzi suoi connazionali ha costruito la baraccopoli con tende, amache, sedie e vecchi materassi recuperati tra i rifiuti. (…)

 

Ph. Ahmad assorto mentre ascolta la sua musica con le cuffie.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 48 (ottobre-dicembre 2021), acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e digitale.

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