La nostra è una normale serata tra amici, una tranquilla cena in una pizzeria del centro di Duitama, cittadina del Boyacá, regione a non più di due ore da Bogotà. Quando arrivano i taglieri con le pizze fumanti, tuttavia, Daniel non tocca niente, concentratissimo com’è sul suo telefono cellulare, l’aria cupa e preoccupata. Non toccherà nemmeno una fetta di pizza e, a un certo punto, fisserà l’amico Alonso drit- to nelle pupille, dicendogli: “Minacciano di uccidere mia madre”. Sembrerà strano, ma l’annuncio non sorprende nessuno e la serata si conclude con un andirivieni di telefonate per organizzare la protezione di Daniel e della sua famiglia.

Chi gli ha scritto non si è premurato neppure di mantenere l’anonimato: secondo Daniel, il numero di telefono da cui gli è arrivato il messaggio con le minacce, “appartiene a un imprenditore locale che gestisce alcuni appalti con un grande cementificio della regione, è qualcuno che ha potere a sufficienza per uccidermi senza che mai si possa risalire al suo nome”. Daniel non è una sorta di Roberto Saviano colombiano, ma semplicemente un attivista per i diritti umani, uno dei tanti che, ovunque in Colombia, ricevono quotidianamente minacce telefoniche, aggressioni verbali e fisiche, e spesso – di questi tempi – sono anche oggetto di tentativi di omicidio.