Tornare a dare aria al pensiero | di Valerio Magrelli

Didascalie, la rubrica di Valerio Magrelli per il sito di Il Reportage, che si affianca a quella da lui tenuta sul trimestrale cartaceo.

 

Ormai tutti, purtroppo, sappiamo bene come il coronavirus abbia finito per atrofizzare la nostra vita sociale: dal lavoro all’insegnamento, dai trasporti all’intrattenimento, nulla è più come prima. Ma c’è un tema particolare che credo meriti di essere affrontato con più attenzione: mi riferisco alla fine dei viaggi, anzi, per meglio dire, dei viaggi all’estero.

Negli ultimi decenni, com’è noto, il turismo di massa è diventato uno dei fenomeni più rilevanti dal punto di vista economico (profitto), etologico (comportamento) e, ahimè, anche ecologico (inquinamento). Con i voli low cost, quello che un tempo era riservato soltanto alle classi più abbienti è stato collocato alla portata di tutti. Da qui, tutta una serie di conseguenze, vuoi positive (l’allargamento dell’esperienza del turismo, anche di lunghissima gittata, all’intera popolazione), vuoi negative (l’invasione di luoghi talvolta delicatissimi da parte di folle senza precedenti). Certo è che, almeno fino all’arrivo della pandemia, più o meno tutti andavano più o meno ovunque.

Adesso non è più così. Quello che consideravamo come un diritto acquisito è stato perso, almeno, lo si spera, temporaneamente. Tuttavia, eccoci al punto, rispetto agli altri tipi di rinunce (feste, ritrovi, discoteche, ristoranti…), la sospensione dei viaggi al di fuori del proprio Paese comporta qualcosa di diverso. Infatti, se il distanziamento sociale implica l’indebolimento del rapporto con l’altro, la fine dei grandi spostamenti ha portato con sé la cessazione dei rapporti con l’Altrove. Non è un dettaglio da poco.

Quest’estate il turismo italiano ha dovuto ripiegare entro i confini nazionali. Benissimo, per carità! Che meraviglia scoprire i nostri borghi, le capitali di tanti antichi staterelli, la natura di regioni meravigliose. Così facendo, però, è venuto a mancare il vero incontro con le culture “altre”, lo scontro con lingue, religioni, usanze, cibi radicalmente differenti dai nostri. Anche località popolarissime, quali Maldive e Mauritius, o più a buon mercato, come ad esempio Sharm El Sheik, consentivano infatti l’impatto con una “visione del mondo”, meglio, con una “maniera di essere al mondo”, diversa da quella a cui il turista, specie più sprovveduto, era abituato. Non parliamo poi dei Paesi più distanti, dalla Thailandia all’India, dal Brasile ai Caraibi. Insomma, grazie all’ampliamento dell’orizzonte culturale, il contatto con l’esotico da parte di grandi strati della società ha avuto risultati di genere antropologico in senso lato, oltre che conoscitivo ed emotivo.

Ebbene questo capitolo, per ora, si è concluso. Speriamo riaprano presto le frontiere, non quelle reali, al momento in cui scrivo ancora aperte, bensì quelle mentali. Speriamo si possa quanto prima tornare a viaggiare, per andare lontano, per scoprire nuovi universi, magari incomprensibili, ma inestimabilmente preziosi al fine di mettere in dubbio i nostri pregiudizi e spaccare le consuetudini. In breve: speriamo che si possa tornare a dare aria al pensiero.

 

 

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