La nuova Italia del coronavirus – di Valerio Magrelli

Didascalie, la rubrica di Valerio Magrelli per il sito di Il Reportage, che si affianca a quella da lui tenuta sul trimestrale cartaceo.

 

Tutti conosciamo la data del 1492 come quella che indica la scoperta delle Americhe. Vista dall’altro lato, tuttavia, essa segna l’inizio di una spietata colonizzazione, con annesso genocidio. Ebbene, non credo sia eccessivo segnalare un altro anno, forse meno tragico dal punto di vista storico, ma non meno gravido di conseguenze. Si tratta di quello sciagurato 1494 a partire dal quale cominciarono le spedizioni in Italia di tre re di Francia, che presto dischiusero la Penisola a quasi quattro secoli di dominazioni straniere. Le potenze europee scoprirono un paese ricco e diviso, fiorente e indifeso, e fu l’inizio della nostra fine, da cui solo l’eroica azione risorgimentale ci liberò – uso volutamente questi termini retorici per sottolineare una delle più belle pagine della nostra storia.

Questo preambolo serve solo a indicare che, dal momento in cui diventammo colonia, acquisimmo inevitabilmente quel carattere servile tipico di chi è costretto alla sottomissione.  Nasce da qui lo stereotipo dell’italiano disordinato, nullafacente, ingannatore. A ciò si aggiunse l’influsso della sedicente “scienza” dei climi, analizzata molto bene da uno studio di Mario Pinna, La teoria dei climi: una falsa dottrina che non muta da Ippocrate a Hegel (Società geografica italiana, 1988). Per simili motivi, è facile immaginare le reazioni di un viaggiatore che, provenendo dai freddi climi transalpini, “era spesso di religione protestante, sostenitore dell’autonomia politica e nazionale, orgoglioso delle libertà civili, intraprendente nell’agire, riservato nel carattere, ed educato nelle università aperte a quella cultura sperimentale che, paradossalmente, proprio in Italia aveva visto la luce”.

La citazione di Attilio Brilli (Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale, Il Mulino, 2006), mostra bene come, agli stranieri, gli italiani apparissero superstiziosi, imprevedibili, sensuali e indolenti – in breve, l’esatto contrario degli sconcertati turisti. Così, in un anonimo testo del 1824, leggiamo: “L’emblema dell’Italia è un pugnale in un mazzo di fiori”. Per molto tempo, insomma, grande è stato il disprezzo che i viaggiatori hanno portato verso un Paese corrotto e assoggettato.

Ebbene, il modo in cui la nostra nazione ha risposto alla pandemia, ci ha svelato una realtà completamente nuova. Innanzitutto, da un punto di vista politico, il caos quotidiano alimentato dai due Matteo (Renzi e Salvini) e dalla Meloni, si è fortunatamente ridimensionato. Poi, la scelta dell’Italia è stata seguita dal mondo intero (Boris Johnson docet). Decidere di proteggere i più deboli e i più anziani a qualsiasi costo, è stata un atto di cui essere orgogliosi. Ma ciò che è più ammirevole, riguarda la sintonia tra il Paese e le sue autorità. Non dobbiamo nasconderci le troppe infrazioni e i tanti errori commessi, ma la reazione è stata unitaria e civile, tanto da essere ritenuta l’unica davvero affidabile. Tanto basta, per rispondere al cliché di chi ci dipinge da secoli come un popolo vile e asservito.

 

 

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