Come sopravvivere a Mosca con la letteratura – di Riccardo De Gennaro

A Mosca ci sono tre modi per sopravvivere all’inverno, gli scacchi, la vodka e la letteratura. Il collettivo torinese “sparajurij”, nei tre mesi di permanenza nella capitale russa, pur senza disdegnare la vodka, ha scelto quest’ultimo. Il che non significa soltanto starsene al caldo a rileggere i testi canonici, da Pushkin a Brodskij, ma piuttosto affrontare il gelo e recarsi nei luoghi dei poeti e degli scrittori che hanno lasciato un segno, nonché – doverosamente – fare visita ai gruppi moscoviti più attivi sulla scena poetica e letteraria d’oggidì. A quel punto è d’obbligo registrare tutto. Ne è nata, così, una “guida sentimentale” che invoglia fortemente – grazie alle cronache di Elisa Baglioni e Francesco Ruggiero – a (ri)leggere i classici russi e a (ri)visitare la metropoli più fredda della Terra.

Sarà un caso che Viaggiatori nel freddo, edito da Exòrma (234 pagine, euro 15,90), comincia come “Mosca, la capitale nel blocknotes” di Bulgakov? Ovvero con un omaggio (anche fotografico) a un tram chiamato Annushka? Evidentemente no, non è un caso, perché la linea A (di qui l’affettuoso nomignolo) è una delle linee storiche della città e serve come spunto per ricordare il tram di Il Maestro e Margherita sotto il quale andò a mozzarsi la testa di Berlioz (anche se, come spiegano correttamente gli “sparajurij”, non si trattava di Annushka, che comunque compare per un attimo nel capolavoro di Bulgakov durante una fuga dell’aiutante di Woland, Behemoth). I sedili di Annushka sono ancora in legno, ma la scomodità viene tranquillamente dimenticata se dietro i finestrini scorre un meraviglioso paesaggio natalizio, ricco di luci e insegne, che comprende – tra molti eleganti palazzi di fine Ottocento – anche uno dei sette grattacieli di architettura staliniana e alla casa dove – dal 1920 al 1934 – visse il poeta-contadino Sergeij Esenin.

La casa-museo di Cechov, quella di Marina Cvetaeva, il formidabile museo Majakovskij che contiene la stanza dove si uccise, la dacia di Pasternak a Peredelkino, la dimora della Achmatova, la Mapp, cioè la casa degli scrittori proletari conosciuta nel Maestro con il nome di Massolit: gli “sparajurij”, che – come hanno dichiarato nel sottotitolo del libro – hanno scelto di “sopravvivere all’inverno russo con la letteratura”, non dimenticano niente e, nelle descrizioni degli ambienti, innamorati di quegli oggetti e di quegli odori, non tralasciano alcun dettaglio. Fanno bene, sono attenti, puntigliosi e tengono conto dei desideri del lettore-viaggiatore, che vuole sapere tutto. È per contenere questa loro estrema curiosità, forse, che a un certo punto, durante una riunione, il poeta russo Danyla Davydov, si alza ed esclama: “Amici! Se non smettiamo di discutere, non cominceremo mai a bere!”.

Se il Il Maestro e Margherita e Mosca-Petushki di Venedikt Erofeev offrono le due principali chiavi di lettura “letteraria” del libro, il Cremlino e la metropolitana rappresentano i principali e più interessanti riferimenti architettonici. Il Cremlino – che Lermontov definì “l’Altare della patria” – i russi lo devono, tra gli altri, a due architetti italiani, che progettarono due delle tre cattedrali con le caratteristiche cupole a cipolla, le finestre a feritoia, la pianta a croce greca. La metropolitana, il “Palazzo del popolo” lo chiamano gli abitanti di Mosca, conta 300 chilometri di binari, trasporta nove milioni di passeggeri al giorno e scende nelle viscere della terra. Le stazioni sono una sorta di enorme museo storico, fatto di marmi e mosaici: 44 di esse (199 in tutto) sono considerate patrimonio culturare. È qui, intorno alle mura del Cremlino e nel dedalo della metropolitana, che gli “sparajurij” – spesso accompagnati dalla fascinosa ed enigmatica Ksenja, scrutano i volti della folla per cogliere l’anima della Russia e scoprire dove questo Paese si stia dirigendo. Il passato sovietico è affidato più che altro ai libri e chi ha conosciuto l’Urss, scrivono, se si guarda indietro lo fa non tanto per rabbia o nostalgia, quanto per solitudine, circondato da giovani che viceversa indietro non guardano. A Mosca chi soffre di freddo può sopravvivere con gli scacchi, la vodka e la letteratura, ma chi soffre di solitudine è paralizzato dal pensiero che “la Storia stia viaggiando a folle velocità sopra un binario morto e che tutti quanti siano diretti verso una destinazione fantasma”. Che Erofeev chiamò Petushki.

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