Mongolia, la vita nomade degli allevatori che producono il cashmere più pregiato | Testo di Matteo Fagotto, foto di Matilde Gattoni

Le capre garantiscono loro buoni guadagni, ma il cambiamento climatico e la sovrapproduzione di lana fanno sentire i propri effetti, esaurendo le praterie e minacciando la sopravvivenza delle greggi. Le famiglie sono oltre 170mila, gli animali sono passati da 10 a 26 milioni in vent’anni.

 

GANBAATAR DAVAASUREN si alza non appena i primi raggi del sole illuminano le colline attorno al fiume Mukhdag. Dopo aver divorato una ciotola di tsuivan – un piatto tradizionale fatto di pasta, patate e carne secca – l’uomo si riserva alcuni preziosi minuti per parlare con sua moglie e giocare con Ariunbileg, la sua figlia di due anni. Come ogni mattina, questo pastore di 37 anni dovrà presto montare in sella al suo cavallo e affrontare il gelido vento primaverile per occuparsi del bestiame.

Soprannominato Bukhuu dal primo suono che emise quando era un bebè, Ganbaatar proviene dalla provincia di Uvurkhangai, nella Mongolia centrale. Figlio e nipote di allevatori, Bukhuu possiede circa cento animali tra pecore, capre, mucche, yak e cavalli. “Amo il mio lavoro – spiega abbracciando Ariunbileg – non c’è soddisfazione più grande che provvedere ai miei figli grazie ai miei animali”.

Dopo aver controllato il bestiame, Bukhuu andrà a raccogliere legna nella foresta per poi radunare le capre per l’evento più importante dell’anno. Dalla loro tosatura, la famiglia otterrà infatti una delle fibre più costose e ricercate al mondo: il 40 per cento della produzione mondiale di cashmere proviene da questi altopiani incontaminati e spazzati dal vento. La fibra si ottiene dal sottopelo delle capre, che cresce in folti ciuffi durante la stagione fredda e viene rimosso in primavera con l’aiuto di pettini metallici. Le capre locali sviluppano un manto particolarmente fitto per poter sopravvivere ai rigidi inverni, quando le temperature scendono fino a -40°C, e ciò rende il cashmere mongolo uno dei migliori al mondo. Negli ultimi decenni, il cashmere ha fatto la fortuna degli allevatori locali, garantendo il sostentamento di più di 170mila famiglie e diventando la principale fonte di reddito per un terzo della popolazione mongola. “Senza il cashmere non avremmo così tante capre, e sicuramente guadagneremmo molto meno”, ammette Bukhuu, che con la sua attività guadagna circa mille dollari all’anno, una cifra che ha permesso alla famiglia di innalzare il proprio tenore di vita appena al di sopra del livello di sussistenza. (…)

 

Ph. Mongolia, provincia di Bayankhongor, un gregge di capre in piedi sul muro costruito con le pietre trovate nel deserto di Gobi.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 54 (aprile-giugno 2023), acquistabile in libreria e direttamente sul nostro sito, in versione cartacea e digitale.

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