Sarajevo dopo 30 anni la città è stata divisa ma le ferite rimangono | Fotoreportage di Milomir Kovačević

Non ci sono progressi: i partiti nazionalisti sono al potere dagli anni Novanta e gli elettori votano solo per paura che vinca il partito dell’altra etnia. Corruzione sistematica, fuga dei giovani, i progetti di qualcuno di ridisegnare i confini sono tra i mali della Bosnia-Erzegovina.

 

La firma dell’Accordo di Dayton ha posto fine alla guerra in Bosnia-Erzegovina e all’assedio di Sarajevo, che secondo alcune fonti è durato 1.395 giorni, tra il 1992 e il 1995. Da allora, il Paese è stato diviso in due entità amministrative, la Repubblica Serba e la Federazione di Bosnia- Erzegovina, quest’ultima ancora composta da dieci cantoni, alcuni a prevalenza bosniaca, altri croata. La divisione si è basata principalmente su rivendicazioni etniche, dove alcuni territori sono stati integrati o scambiati con enclave nella parte orientale del Paese sulla base della migrazione volontaria o forzata della popolazione, così che oggi esistono tre mini-stati su base etnica, una situazione che porta al trasferimento degli abitanti, alla divisione delle città e alla creazione di scuole in cui gli alunni di diverse origini etniche non si mescolano. I partiti nazionalisti sono al potere dagli anni ‘90 e gli elettori votano per paura che vinca il partito che rappresenta l’altra etnia. Da oltre 30 anni non si registrano progressi. Sarajevo ha subito anche cambiamenti territoriali: la maggior parte della città appartiene alla Federazione e al Cantone di Sarajevo, mentre i comuni circostanti sono stati annessi alla Repubblica Serba. Una nuova città, Sarajevo Est, è stata creata sul territorio di Lukavica e a est di Dobrinja, in precedenza alla periferia della capitale. La libertà di movimento è garantita, ma c’è ancora consapevolezza di dove si trovi il confine tra la Federazione e la Repubblica Serba.

Un gran numero di rifugiati, soprattutto bosniaci, si sono stabiliti in città, mentre serbi e croati hanno lasciato la città o si sono trasferiti nei territori in cui sono maggioritari, così che la città è cambiata notevolmente rispetto al periodo prebellico. Nonostante il nazionalismo imperante, la corruzione sistematica, la fuga dei giovani e il desiderio di alcuni di ridisegnare i confini, la Bosnia- Erzegovina rimane un Paese di grande bellezza naturale, sempre più aperto al mondo esterno. Il ritorno di cittadini dall’estero che conoscono modi di operare più democratici, l’allentamento delle tensoni e la recente concessione alla Bosnia-Erzegovina dello status di candidato all’adesione all’Unione Europea fanno sperare in tempi migliori e che la tragedia non si ripeterà. (m.k.)

 

Ph. Un momento della manifestazione per la pace davanti al parlamento della Bosnia Erzegovina (marzo 1992).

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 54 (aprile-giugno 2023), acquistabile in libreria e direttamente sul nostro sito, in versione cartacea e digitale.

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