Un autore un libro. Intervista a Farian Sabahi | di Maria Camilla Brunetti

Noi donne di Teheran | di Farian Sabahi (Jouvence)

 

L’intervista è pubblicata in Reportage numero 53, nella rubrica “Un autore un libro” a cura di Maria Camilla Brunetti.

 

La sua introduzione alla nuova edizione di Noi donne di Teheran è una mappatura delle cause dell’ondata di manifestazioni che sta scuotendo la società iraniana. Le proteste sono seguite all’uccisione di Mahsa Amini, studentessa ventiduenne arrestata a Teheran il 13 settembre 2022, perché presumibilmente non indossava il foulard in maniera sufficientemente ligia. La giovane – portata in un centro di rieducazione – a seguito delle percosse subite entra in coma e muore il 16 settembre. Da quel giorno, nel Paese non si fermano le dimostrazioni di protesta antigovernative. In che cosa, questo sollevamento popolare, è diverso da quelli già avvenuti in Iran nel 2009 e nel 2019?

Sono diverse le rivendicazioni e i ceti sociali coinvolti. Nel 2009, sull’onda del movimento verde di opposizione, gli iraniani erano scesi in strada denunciando i brogli e contestando la rielezione del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad (2005-2013) per un secondo mandato. In quella protesta dalle forti tinte politiche, a reclamare Ra’i-ye ma koja ast? (“Dov’è il mio voto?”) erano stati gli abitanti – istruiti e di ceto medio-alto – della capitale e delle altre grandi città. A fermare la rivolta furono la repressione e l’arresto dei vertici: i leader del movimento verde erano spariti dalla circolazione e sarebbero rimasti per anni agli arresti domiciliari. Le autorità avevano denunciato interferenze straniere, puntando il dito contro il Regno Unito. Dieci anni dopo, il 15 novembre 2019, il governo di Hassan Rohani (2013-2021) aveva tagliato i sussidi al carburante, senza alcun preavviso. Questa decisione era motivata dal fatto che, a causa delle sanzioni internazionali e dell’embargo sul petrolio iraniano, le esportazioni in Europa erano crollate del 94 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’economia era entrata in crisi. In oltre cento città e cittadine scoppiarono le proteste, dapprima per motivi economici, che sfociarono nella ribellione politica contro la leadership religiosa. I vertici di Teheran accusarono Stati Uniti, Regno Unito, Iraq e Arabia Saudita di fomentare la protesta.

Quella iraniana è una cultura millenaria, nella quale le donne hanno rivestito e rivestono un ruolo di primo piano, come scrive in Noi donne di Teheran. Barometro di ogni democrazia sono i diritti delle donne e delle minoranze. Cosa c’è in gioco adesso in Iran, a livello sociale, politico e culturale?

Potrebbe esserci un cambiamento strutturale. Molto dipende dai vertici della Repubblica islamica e – soprattutto – dai pasdaran. Fedelissime all’ideologia di regime, le guardie rivoluzionarie hanno un ruolo di primo piano in ambito militare, politico ed economico.

Il velo in Iran è un obbligo istituito nel 1979 dall’ayatollah Khomeini all’indomani dell’istituzione della Repubblica islamica. Ma il velo è soprattutto un simbolo, ideologico e politico. Perché mettere in discussione la legittimità di una legge che impone l’obbligo di indossarlo è così pericoloso a livello politico? Perché chiedere di avere la libertà di scegliere se indossarlo o meno può costare la vita ancora oggi, nell’Iran contemporaneo come altrove?

L’obbligo del velo sta alla Repubblica islamica come il muro di Berlino sta al comunismo. Tolto l’obbligo del velo, potrebbe crollare tutto un sistema politico. E, soprattutto, le iraniane potrebbero rivendicare tutti gli altri diritti loro negati.

Che cosa vede pensando al futuro dell’Iran e delle sue donne?

La popolazione iraniana è esasperata. Usando violenza, le autorità hanno perso legittimità. La storia, tuttavia, invita alla prudenza, perché nelle proteste degli anni scorsi la macchina repressiva ha mietuto migliaia di vittime.

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