Ogni romanzo che scrivo per me è un mistero e non so chi me lo detta – Intervista a Antonio Lobo Antunes

di Angelo Mastrandrea

 

Un giorno, il grande critico letterario francese Théophile Gaultier fu portato al museo Prado di Madrid per vedere Las meninas di Velazquez. Rimase a lungo senza parole, nessuno riusciva a capire cosa pensasse. Quando glielo chiesero, lui domandò: dov’è il quadro? Il desiderio più profondo di Antonio Lobo Antunes è che i suoi lettori facciano come Velazquez: dopo aver letto un suo libro, si chiedano dov’è. “Come diceva Rilke, un’opera buona diventa sangue e gesti nostri, la interiorizziamo”, così il grande scrittore portoghese (l’ultimo suo romanzo tradotto in italiano è Non è mezzanotte chi vuole, un titolo che è una citazione di André Malraux, edito come tutti gli altri da Feltrinelli), fresco di riconoscimento al Bottari Lattes e uno dei tre autori ancora in vita a essere pubblicato nella prestigiosa Pléiade francese, spiega la metafora.

Per comprendere a fondo un autore complesso come lei bisogna sforzarsi di entrare nel suo mondo interno, quello al quale lei dà forma sulla pagina.

Ogni libro che scrivo per me è un mistero. Si costruisce da solo, nonostante me. È come se io fossi un intermediario tra due momenti, tra la pagina scritta e una voce interna che mi detta parola per parola quello che sto scrivendo. Un po’ alla volta mi rendo conto che il libro ha una sua logica interna, che non è la mia. Per me è molto strano, ogni volta mi chiedo chi è che mi detta le parole.  

Come fa per entrare in connessione con questa voce interna? Insomma, qual è il suo metodo di lavoro?

La cosa più difficile, ogni giorno, è cominciare a scrivere. Lavoro tutto il giorno, dalle 8 alle 13, poi dalle 14,30 a sera, a volte vado avanti fino a mezzanotte. Tutti i giorni, compresi il sabato e la domenica. La mia vita è lo scrivere. Ogni mattina mi siedo e mi metto in attesa della voce dentro di me. In realtà è più di una voce, sono io che ho dentro di me tutti gli argomenti. Mi chiedo in continuazione da dove arriva tutto ciò. Non so mai come un libro andrà a finire. Nella scrittura esiste il talento, ma non è sufficiente senza il duro lavoro. Ci vuole molta pazienza e un po’ di coraggio per superare i momenti di scoraggiamento, che sono frequenti. È una lotta con se stessi. Bisogna anche saper buttare tutto e ricominciare. Il criterio che personalmente uso per stabilire se un libro è finito è che non accetta più correzioni. Ognuno di noi scrive in un modo diverso. Ci sono persone che scrivono e altre che fanno altro. Qualsiasi buon scrittore fa altro. Credo che scrivere sia una cosa estremamente bella perché ti fa alzare sulle gambe e proiettare una grande ombra. Quando leggo Proust, penso che è stato un uomo a fare questo e dunque posso farlo anch’io. L’unica regola è non rinunciare, continuare a lottare contro se stessi. Non ho mai visto un libro scritto con facilità. (…)

 

 

L’intervista completa è pubblicata su Reportage n°37, acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale.

 

 

 

ph. Lo scrittore portoghese Antonio Lobo Antunes mentre parla al pubblico del Premio Bottari Lattes Grinzane

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