Masha, la fotografa pietroburghese che nascose i suoi negativi in soffitta | Testo di Michela A. G. Iaccarino, foto di Masha Ivanshintsova

Soltanto dopo 17 anni dalla morte della madre, Asya Melkumyan ha aperto le scatole contenenti 30mila scatti, che documentano tre decenni di storia dell’Urss. La donna, morta nel 2000, non aveva mai voluto che qualcuno li vedesse. I problemi di depressione, le affinità con Brodskij.

 

Nel regno del buio, dove tutto scricchiola e abitano i fantasmi delle cose abbandonate. È qui che, prima di morire, Masha Ivashintsova, ha nascosto una mastodontica mole di fotografie che non mostrò mai a nessuno mentre era in vita. Nella soffitta della sua casa di Pietroburgo, dove la polvere ha avuto misericordia del suo genio, Masha ha congelato in 30mila negativi l’Unione Sovietica che aveva fotografato per tre decenni. Da quando la bara della fotografa viene chiusa, nel 2000, a quando Asya Melkumyan, sua figlia, trova il coraggio per aprire la porta di quella soffitta, passano 17 anni. “Sapevo che mamma fotografava, ma era malata e depressa, tutto ciò che me la ricordava mi addolorava. È per questo che a lungo ho scelto di non vedere”, racconta al telefono Asya. Dell’esistenza delle foto era a conoscenza: non sospettava però della loro bellezza o del volume. Masha non ha mai creduto nel proprio talento ma, archiviando meticolosamente ogni giorno migliaia di immagini, sperava che un giorno qualcuno lo scoprisse.

“Masha era come una bambina”, prigioniera dello stupore offerto dalle meraviglie del mondo. “Amorevole, ma infantile, non del tutto adulta”, racconta Asya che, come sua madre, in una soffitta della coscienza, ha nascosto per lungo tempo quel legame doloroso che più volte si è spezzato. Cresciuta a Mosca con suo padre, il linguista armeno Melvar Melkumyan, Asya ha vissuto solo fugacemente con quella donna che “si fermava sempre a fotografare per strada mentre andavamo da qualche parte”. Alla fine la porta di quella soffitta è diventata il passaggio che conduceva al perdono e alla sua liberazione. “Ad entrare in quella stanza, senza Egor, mio marito – dice – non ci sarei mai riuscita. Masha con me era silenziosa, con gli altri invece allegra. Adesso affronto un nuovo processo di conoscenza di mia madre, attraverso le fotografie”.  (…)

 

Ph. Un autoritratto della fotografa Masha Ivashintsova.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 48 (ottobre-dicembre 2021), acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e digitale.

About author