Dove si nascondevano i boss della mafia durante la latitanza | Testo di Giampiero Calapà foto di Francesco Nicosia

Un viaggio “alternativo” in Sicilia alla ricerca dei covi della malavita organizzata: i diversi stili “abitativi” di Riina e Provenzano, Brusca e Contorno. La prigione del piccolo Di Matteo è diventata “Giardino della memoria”, la villa del “capo dei capi” un comando dei carabinieri.

 

Sembrano lontani gli anni delle stragi, dei giudici che saltano in aria, degli omicidi eccellenti per le vie di Palermo, della caccia ai super-latitanti attraverso inaccessibili trazzere in campagne o per le strade cittadine, ricomparsi come se nulla fosse. Eppure nelle liste dei principali ricercati al mondo c’è un nome che ricorre da decenni, quello di Matteo Messina Denaro, il boss che compirà 59 anni il prossimo 26 aprile. Dove si è nascosto da quel giugno del 1993 Messina Denaro? In quali rifugi ha trascorso questi ventotto anni di latitanza uno dei padrini attivi anche all’epoca della guerra di Cosa nostra allo Stato? Quando si trovava a Palermo abitava in un appartamento di Bagheria, ma si nascose anche a Trapani, nel rione popolare Palma, dove la polizia arrivò troppo tardi. Oppure nella sua Castelvetrano, in un nascondiglio dentro “l’oreficeria di Francesco Geraci, fidato scudiero, poi pentito”, scrive Rino Giacalone sul mensile siciliano S, il quale precisa: “C’era una cassaforte che quando fu aperta tradì cosa nascondeva, un ascensore che portava nei sotterranei dove c’era un miniappartamento arredato di tutto punto e dove Matteo Messina Denaro trascorse il primo periodo di latitanza; lì incontrava l’altro latitante, il capo dei capi Totò Riina”. Ad ogni modo di Messina Denaro è stato possibile tracciare il profilo di un boss diverso, un criminale che non trascorre le sue giornate in ovili sperduti e capanni a mangiare ricotta, ma che ama il bel mondo, il lusso. Di qui le ipotesi di numerose permanenze all’estero: Venezuela, Sudafrica, Belgio e Malta. Ciò nonostante, Messina Denaro ha soggiornato anche in una grotta, sempre nella provincia di Trapani, in un luogo mai trovato messo a sua disposizione dal boss Vincenzo Virga, un buco in montagna “dove nemmeno con l’elicottero la polizia può arrivare”. (…)

 

Ph. Comune di San Giuseppe Jato. Il luogo di detenzione del piccolo Giuseppe di Matteo divenuto ora “Giardino della memoria” gestito dall’associazione Libera e dal Comune. Nell’immagine, il dettaglio del buco nel quale Giuseppe di Matteo fu tenuto prigioniero per 180 giorni nell’estate del 1995. Dopo sei mesi di prigionia venne strangolato con una corda da Vincenzo Chiodo, un “pesce piccolo”, e il suo corpo sciolto nell’acido dal boss Giovanni Brusca.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 46, acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e digitale.

About author