Africa, la strage degli animali per l’industria e per le guerre – di Daniele Bellocchio

Le guerre sono fatte dagli uomini contro altri uomini, ma a volte scoppiano a causa di altre guerre fatte dagli uomini contro gli animali e la natura, come in una matriosca del terrore, un sommarsi di violenze, di omicidi, di stragi. Ecco che cos’è il bracconaggio. Anche se può sembrare paradossale che l’uccisione illegale di specie animali e la deforestazione del globo possano racchiudere in sé tanti drammi, questo è lo stato delle cose. Per riassumere i passaggi di questa catena di sangue occorre immaginare un bracconiere africano. Originario del Mozambico, oppure del Centrafrica, o della Repubblica Democratica del Congo, e armato di un kalashnikov avuto da qualcuno che gli ha offerto abbastanza denaro per andare a rischiare la vita e uccidere un rinoceronte o un elefante. Ed è sempre il cacciatore, che vive il suo presente nel fondo della miseria, a decidere quindi di entrare illegalmente nel parco del Virunga, oppure nel Kruger, o nelle aree protette della Repubblica Centrafricana, e intraprendere la caccia contro pachidermi e altri animali. Ma, allo stesso tempo, è lui stesso la possibile preda dei rangers, a rischiare una fucilata o il carcere a vita.

E qui la storia del bracconiere potrebbe già finire, ucciso da un guardiacaccia nella foresta congolese o nella savana sudafricana. Oppure potrebbe proseguire, ma sempre intinta di sangue. Il cacciatore infatti uccide, poi decapita l’elefante, taglia il corno al rinoceronte e con le zanne e il corno fugge, di notte; l’indomani consegna quanto è riuscito a recuperare all’intermediario, quello stesso che gli aveva fornito il fucile. E questi a sua volta farà pervenire ad altri uomini ciò che gli è stato consegnato, che alla fine verrà ceduto a miliziani col volto coperto da una keffiah, facenti parte di un gruppo che si chiama Al Shabaab e che sta conducendo da anni una guerra del terrore in Somalia. Oppure arriverà nelle mani di altri ribelli, questa volta estremisti ”cristiani”, che appartengono al Lord resistence army e che, guidati dal loro leader Kony, stanno infettando di morte e dolore il cuore dell’Africa. Questi poi faranno arrivare i beni nei mercati dell’Asia e con quei proventi verranno acquistati armi, esplosivi, uomini: sarà comprata la morte col sangue degli animali africani.

Ecco, in modo schematico, cos’è il bracconaggio, ma per entrare più nel dettaglio occorre partire dal World wildlife crime report, redatto dall’ufficio Drugs and crime della Nazioni Unite. Dal rapporto emerge che il bracconaggio, insieme all’appropriazione illegale di risorse naturali, ha un introito annuo di 213 miliardi di dollari e che l’emergenza sta raggiungendo livelli molto preoccupanti, tanto che la lotta alla caccia illegale è stata inserita tra gli obiettivi dell’Agenda 2030, ovvero tra i traguardi da raggiungere per uno sviluppo sostenibile, approvati da tutti i Paesi del mondo.

Ritornando all’indagine condotta dalle Nazioni Unite, il continente più colpito è l’Africa, dove ogni anno vengono cacciati più di 30mila elefanti; Tanzania e Mozambico, in soli cinque anni, hanno perso il 60 per cento della popolazione di pachidermi, mentre il 10 per cento dei gorilla di pianura viene sterminato annualmente nel continente africano. Nello Zimbabwe, dicono ancora i dati ufficiali, in meno di dieci anni il 60 per cento dei rinoceronti è scomparso, così come il 70 per cento degli elefanti del bacino del Congo. Nel World wildlife crime report non manca l’analisi delle ragioni e delle strategie del bracconaggio, quali siano gli sbocchi ultimi per l’industria del crimine contro gli animali. I settori che si avvalgono dell’uccisione e della cattura di specie animali sono principalmente la moda, l’arredamento e la farmacologia tradizionale. Ma se questo è l’approdo dei corni d’avorio, delle pelli di serpente e di ghepardo, per comprendere meglio il macrocosmo di violenza che racchiude il bracconaggio occorre seguire le fasi intermedie del fenomeno.

Il National Geographic è riuscito, inserendo un chip all’interno di una finta zanna di elefante, a tracciarne il percorso ed quindi è emerso che le finte zanne, introdotte nella catena di approvvigionamento dei trafficanti nella Repubblica Centrafricana, in 53 giorni hanno compiuto quasi mille chilometri arrivando in Sudan e passando nei territori sotto il controllo del Lord Resistance Army. Dopo aver tracciato il percorso, si è riusciti anche a ricostruire il traffico di denaro che ruota intorno all’avorio. Un chilo viene comprato dagli intermediari ai bracconieri per un prezzo che oscilla dai 60 ai 400 dollari. Poi, una volta raggiunti i siti di stoccaggio, il valore aumenta e va dai 220 ai 500 dollari; nei porti di esportazione raggiunge un altro valore ancora, che va dai 600 ai 900 dollari. Ma non è finita, perché quando arriva sul mercato asiatico il costo si impenna e oscilla tra i mille e i 4mila.

È facile capire come l’iter del traffico illegale sia una delle principali fonti di finanziamento di guerriglie di ogni identità e come la guerra al bracconaggio sia quanto mai prioritaria. Ma ora la situazione sembra essere realmente fuori controllo al punto che due organizzazioni, le quali dovrebbero essere dallo stesso lato della barricata per la salvaguardia dell’ambiente e delle identità indigene, hanno iniziato a scontrarsi con scambi di accuse e interventi legali. Si tratta di Survival international e Wwf. È la prima volta che un’organizzazione no profit indaga sull’attività di una sua omologa per violazione dei diritti umani; nello specifico, Survival accusa il Wwf di finanziare squadre antibracconaggio che avrebbero perpetrato maltrattamenti e umiliazioni ai danni dei Baka, una popolazione che vive nel Camerun e che per vivere dipende dalle risorse della foresta. Il Wwf ha respinto le accuse bollandole come ”un’intollerabile campagna diffamatoria”. Ora la questione è all’esame dell’Ocse e approderà nelle aule dei tribunali. Nel frattempo, il pianeta sta a guardare la strage continua degli animali, impassibile e sanguinante.

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