Intervista a Francesca Coin. Un autore un libro | di Maria Camilla Brunetti

Le grandi dimissioni | di Francesca Coin (Einaudi)

 

L’intervista è pubblicata su Reportage numero 56 (ottobre-dicembre 2023), all’interno della rubrica “Un autore un libro” a cura di Maria Camilla Brunetti.

 

A livello globale, sempre più persone decidono di lasciare il loro posto di lavoro. Questo fenomeno si è acuito con la crisi dovuta alla pandemia da Covid-19 ma, come lei ha affrontato a più riprese in Le grandi dimissioni, il fenomeno ha radici più lontane nel tempo e più profonde. Cosa sta succedendo nel mercato del lavoro, a livello internazionale?

C’è una disaffezione al lavoro che, in molti Paesi al mondo, ha assunto la forma di una crescita delle dimissioni volontarie. Negli Stati Uniti, quarantotto milioni di persone hanno deciso di licenziarsi nel 2021. Nel 2022 il numero è salito a cinquanta milioni e mezzo. In Italia, le dimissioni volontarie hanno sfiorato i due milioni nel 2021 e hanno superato questa soglia nel 2022. In Cina, il modello produttivo è stato oggetto di critica da due movimenti di protesta chiamati Tang ping e Let it rot. In generale, in diverse parti del mondo e in molti settori osserviamo una crescente indisponibilità a condizioni di lavoro tossiche, sottopagate o caratterizzate da una crescita continua della mole di lavoro. Di recente in Italia, il rapporto di Confartigianato dell’agosto 2023, ha parlato di una carenza di personale che non accenna a ridursi in tutte le regioni e i settori, nonostante nel Paese vi siano quasi cinque milioni di persone disoccupate e scoraggiate. È una situazione paradossale.

Per generazioni la formazione e il lavoro sono stati considerati strumenti di mobilità sociale e di realizzazione. Siamo stati educati con la speranza che con dedizione e impegno saremmo riusciti a fare il lavoro che desideravamo e per raggiungere il quale avevamo fatto sacrifici e che la nostra professione avrebbe definito chi eravamo e il nostro posto nel mondo. In anni più recenti mi sembra stia diventando invece sempre più sofferta una radicata diffusa disillusione, a livello generazionale e transgenerazionale, sulle aspettative rivolte al mondo del lavoro e sulla centralità che la professione dovrebbe avere nella definizione di una persona. Che cosa è andato storto?

Sino a un secolo fa, le dimissioni volontarie, le fughe dal lavoro e l’assenteismo erano la norma. Nelle fabbriche automobilistiche Ford, ad esempio, nel 1913 il turnover era arrivato al 370 per cento – in quell’anno Ford era stato costretto ad assumere 50mila persone per mantenere una forza lavoro media di 13mila: più di 7.300 lavoratori avevano abbandonato l’azienda nel solo marzo 1913. Per ridurre il turnover, le aziende sono state costrette a introdurre forme di retribuzione diretta, indiretta e differita, in altre parole forme di tutela, previdenza sociale e promozione interna che consentivano di trattenere la manodopera in azienda offrendole un adeguato riconoscimento per i suoi sacrifici. A partire dagli anni Novanta, buona parte di queste forme di tutela sono state smantellate. Siamo entrati nell’epoca della precarietà, dei bassi salari, del lavoro atipico, delle ristrutturazioni aziendali. Le imprese, in altre parole, non erano più fedeli ai lavoratori e le persone hanno cominciato a chiedersi perché mai avrebbero dovuto essere fedeli all’azienda se quest’ultima non faceva niente per tutelarli?

Dicevamo che il fenomeno delle dimissioni si allarga a macchia d’olio a seguito della pandemia da Covid-19 ed è un fenomeno che riguarda diverse tipologie professionali. Come lei ha detto, negli Stati Uniti solo nel 2021 lasciano il posto di lavoro 48 milioni di persone, che diventano più di 50 milioni l’anno seguente. Sono numeri impressionanti. Quale realtà sociale raccontano questi dati? Nel suo libro parla di una “anomalia italiana”. In merito al fenomeno delle grandi dimissioni in Paesi come Stati Uniti o Cina, cosa rende diverso il caso italiano e quali sono le cause?

In generale questi numeri parlano della diffusione di condizioni di lavoro tossiche e insostenibili. Nella sanità, ad esempio, la pandemia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Negli ospedali, il personale si è spesso sentito usato come agnello sacrificale a causa di un’insufficienza di risorse, di tagli all’organico, della mole abnorme di lavoro, del clamoroso fallimento della catena di comando nella governance ospedaliera. Nella ristorazione e nel commercio i racconti non sono più così dissimili: si parla di persone che non hanno un’adeguata pausa tra un turno e l’altro, che vengono pagate per metà in busta e per metà fuoribusta, di molestie, vessazioni, di rituali quotidiani di umiliazione. Chiaramente le dimissioni non sono una soluzione a questa situazione, ma il sintomo di condizioni di lavoro che sono spesso insostenibili e che devono essere cambiate.

 

 

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