Intervista a Gian Paolo Barbieri | di Simona Scalia

Gian Paolo Barbieri racconta la sua vita e i suoi grandi amori. Ai servizi di moda per le grandi riviste sentì presto l’esigenza di affiancare reportage dedicati alle popolazioni delle isole di Tahiti, Madagascar, Seychelles… Dall’influenza del cinema noir americano degli anni Trenta ai rischi dell’Intelligenza artificiale. 

 

Se pensi a Gian Paolo Barbieri, pensi alla Moda. Quella di Vogue, di Harper’s Bazar. Quella di Dior. Pensi ai volti delle indossatrici in bianco e nero, eleganti e bellissime, fra studi fotografici e panorami mozzafiato. Pensi anche alle attrici, le più belle di sempre, come, ad esempio, Audrey Hepburn, Sofia Loren, Monica Bellucci, Veruschka, Iman, Jerry Hall. Nato a Milano nel 1935, da una famiglia di commercianti di tessuti, Barbieri si appassiona fin da giovanissimo al teatro, formando un gruppo teatrale, “il Trio” e interessandosi anche al cinema noir americano. Da qui i primi esperimenti con la luce, l’illuminazione dei volti, la curiosità per la raffinatezza di quelle atmosfere, che decide di riprodurre nella sua fotografia, facendone presto un segno distintivo. Poi il trasferimento in Francia, il lavoro al fianco di Tom Kublin, un periodo intenso, al termine del quale il celebre fotografo disse di non avere mai avuto un assistente come lui. Nel 1964, Barbieri torna a Milano e apre il suo primo studio fotografico. Sono gli anni Ottanta quando, grazie anche a Vogue Italia, contribuisce attivamente all’esordio del prêt-à-porter nazionale: Armani, Gucci, Ferré, Versace, Krizia, ma anche l’estero di Vivienne Westwood, Yves Saint Laurent, Chanel. Con un dato, nel lavoro di Barbieri, che fa la differenza rispetto a quello di tanti fotografi dell’epoca: l’aver affiancato due generi apparentemente agli antipodi, come il glamour commerciale e il reportage, rendendoli uno parte integrante dell’altro. Così troveremo, nei suoi ritratti agli abitanti di Paesi lontani e di diversi gruppi etnici, l’eleganza e il rigore della fotografia da studio e, nelle foto di moda, elementi di forza e straordinaria narratività, frutto dei numerosi viaggi.

Barbieri, lei ha iniziato con il teatro, nel 1953, partecipando alla Medea di Visconti. In seguito la passione per l’arte e il cinema sono state tappe fondamentali che l’hanno condotta verso la fotografia e, in particolare, ai ritratti, la moda, il reportage. Sarebbe interessante sapere, considerata la “gavetta” con Tom Kublin a Parigi, quali sono state le circostanze in cui ha deciso che sarebbe diventato un fotografo professionista. E quando un talentuoso fotografo è diventato un autore? Ricordiamo che già nel ’68, la rivista tedesca Stern lo colloca tra i 14 migliori fotografi di moda del mondo.

Dopo aver lavorato a fianco di Tom, tornai a Milano con la voglia di iniziare a fare la mia fotografia. Era all’incirca il 1962 e di lì a poco trovai un abbaino in Viale Majno dove iniziai a fare i primi test alle modelle e le prime foto alle donne nobili milanesi. Inizialmente fu difficile perché la mia famiglia, e in particolare mio padre, non erano d’accordo con la mia scelta: avrebbero voluto per me un futuro da contabile. Non avendo il sostegno né morale né economico da parte loro, dovevo sostentarmi da solo. Non mi abbattei però per questo, anzi continuai a perseguire quell’obiettivo perché convinto ormai di quella strada, disposto a fare dei sacrifici pur di raggiungere quel traguardo. Iniziai così a presentare i test delle modelle ai magazine di punta di quel periodo, come Linea Italiana e Novità. Conobbi la direttrice Lidia Tabacchi che mi prese in simpatia e mi permise di entrare in quel mondo attraverso dei lavori commissionati. Iniziai a lavorare sempre di più finché non realizzai la prima copertina di Vogue Italia quando Novità fu acquisito da Condè Nast. Era il 1965. Da quel momento in poi fu tutto un divenire, scattavo e scattavo perché era tutto ciò che avevo, tutto ciò che mi rendeva felice. (…)

 

Ph. Gian Paolo Barbieri, Seychelles 1984 (tutte le foto che corredano l’intervista © Gian Paolo Barbieri, courtesy Fondazione Gian Paolo Barbieri).

 

L’intervista completa è pubblicata su Reportage numero 56 (ottobre-dicembre 2023), acquistabile qui in formato cartaceo e in digitale.

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