Viaggio in Tibet, dove ancora oggi vengono celebrati i funerali celesti | Fotoreportage di Jacques Borgetto

Per motivi spirituali e per non contaminare la terra con corpi in via di decomposizione, i cadaveri vengono offerti in pasto ai rapaci in luoghi particolari e secondo rituali precisi. Le divinità apprezzano particolarmente le offerte aeree: luce, lampade a burro, incenso e fumigazioni di ginepro e farina d’orzo.

 

Nelle vicinanze di Lhasa e di alcune altre città del Tibet esistono luoghi sacri in cui vengono celebrati i funerali celesti. La tradizione è antica e condivisa con la grande civiltà zoroastriana dell’Iran. Se ne troverebbero tracce anche tra i nostri antenati celtici e gallici. Di cosa si tratta? Per motivi spirituali e per non contaminare la terra (o il fuoco) con corpi in decomposizione, questi vengono offerti in pasto ai rapaci in luoghi particolari e secondo rituali precisi. Sappiamo che l’attenzione per le spoglie dei defunti è uno degli elementi di civiltà fra i più antichi e significativi. L’Europa cristianizzata scelse di sotterrarli, forse ricordandosi della leggenda che attribuisce la creazione del primo uomo, Ha Adama, l’uomo rubicondo, al soffio divino su una palla di terra. Ma il Tibet vede le cose diversamente: l’immenso altopiano è più vicino al cielo di qualsiasi altra parte del mondo e la Terra sembra non essere altro che un’appendice del cielo. È da dietro le nuvole che scesero i mitici re, utilizzando la scala a nove gradini associata
a numerose montagne: Yangtho a Kongpo, Yarlha Shampo a Yarlung, o il monte Kailash, talvolta equiparato all’asse del mondo. Abitando nel paese delle terre alte, le divinità (Lha) apprezzano le offerte aeree: luce, lampade a burro, incenso e fumigazioni di ginepro e farina d’orzo. Per quanto riguarda gli abitanti del sottosuolo e delle acque, i Lhou, essi si preoccupano di proteggere il loro spazio, motivo per cui l’estrazione mineraria, l’aratura profonda e l’uso di prodotti inquinanti sono sconsigliati se non si vuole suscitare la loro ira. Questa geografia dello spazio è ben anteriore all’arrivo del buddismo in Tibet e riprende alcune religioni popolari che assumevano come oggetti di culto gli elementi naturali, montagne e fiumi, e regolavano le relazioni che dovevano essere rispettose tra tutti gli esseri viventi, visibili o nascosti. Il buddismo tibetano ha tenuto conto di questa distribuzione dello spazio e dell’omaggio reso al pianeta, in particolare con la tradizione dei lungta, cavalli del vento che ornano piccole bandiere colorate, il cui scopo era quello di diffondere a ogni vento insegnamenti e benedizioni. Non sembra esserci una descrizione dettagliata della pratica religiosa associata al rito funebre celeste. Lo stesso sinologo Rolf Alfred Stein sorvola su quella che considera “un’usanza decisamente iraniana”, dopo aver raccontato che i re “si univano al cielo”, salendovi con la corda di Mu, che fu spezzata durante il regno del re Drigum. Le tombe e i tumuli, che di solito erano solo monumenti funerari, divennero poi vere e proprie sepolture. Resta il fatto che la dissezione dei corpi e la loro offerta agli uccelli è continuata fino ad oggi, suscitando la disapprovazione degli invasori cinesi ma, al tempo stesso, una certa fascinazione. Jean-Paul Ribes

 

Ph. Le case dei monaci costruite sul fianco della montagna.

 

Il fotoreportage completo è pubblicato in Reportage numero 55 (luglio-settembre 2023)

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