I libri che abbiamo letto su Reportage numero 45

I libri che abbiamo letto e recensito su Reportage numero 45

 

Mathias Énard  Ultimo discorso alla società proustiana di Barcellona (E/o)

La scrittura di un autore come Mathias Énard si nutre di un fattore biografico imprescindibile se si vuole comprendere la sua intera produzione letteraria: il suo cosmopolitismo. Mathias Énard non solo è uno scrittore-erudito ma è un grande viaggiatore, un cosmopolita nell’accezione più ampia che a questo termine si può attribuire. Dopo essersi formato in Storia dell’arte all’École du Louvre, ha intrapreso lo studio dell’arabo e del persiano e ha viaggiato estensivamente in Medio Oriente, dove ha vissuto per più di dieci anni: lunghi soggiorni di ricerca in Siria, Libano, Iran, hanno formato la sua sensibilità di autore. Stabilitosi a Barcellona nel 2000 insegna lingua e letteratura araba all’Università autonoma e collabora con diverse realtà letterarie e culturali e all’attività di professore affianca quella di traduttore.
Nel 2016, con il sorprendente Bussola ha vinto il premio Goncourt e il von Rezzori ed è stato finalista al Man Booker International prize e al Premio Strega europeo. Mathias Énard è uno scrittore di difficile catalogazione, per l’estensione dei suoi studi e per la libertà di una lingua narrativa in costante evoluzione e sperimentazione. In questa sua ultima opera tradotta in Italia, Ultimo discorso alla Società proustiana di Barcellona (E/o), Énard costruisce un testo di prosa in versi, con parti integrali in diverse lingue (arabo e francese lasciati in originale anche nella traduzione italiana affidata a Lorenzo Alunni e Francesco Targhetta) e lunghi attraversamenti letterari, spazio-temporali, che lo portano a Sarajevo flagellata dalla guerra, alla Beirut assediata del conflitto, in Polonia tra gli echi cupi della deportazione ebraica, in Russia e in Tagikistan, nella Spagna dei poeti più amati. Sono i passaggi della sua personale geografia a interiore, quelli che Énard affida al lettore, una geografia ricchissima di rimandi e citazioni e nutrita di una profonda conoscenza della storia e delle ferite di un Novecento tumultuoso e lacerato, di struggente bellezza. Sono appunti di viaggio e poesie di amore, lettere di addio e immagini di così profondo mistero da riuscire a squarciare il velo che confonde il reale e il sogno, come istanti di epifania in cui, grazie alle parole, il dolore più profondo risplende: “Sono di ritorno a Damasco/ chissà / fatico così tanto a dire dove mi trovo / poco tempo fa abitavo in una calle/ in una città di sale / dove non si è da nessuna parte / tra Costantinopoli / e Rodi”. Maria Camilla Brunetti

 

Albert Camus  Conferenze e discorsi (Bompiani)

Era nei discorsi in pubblico, nei suoi appelli e, in particolare, quando parlava ai giovani, che Albert Camus sfoderava completamente il suo spirito libertario. Lo dimostrano gli interventi contenuti nel libro Conferenze e discorsi, che vanno dal 1937 al 1958. Pubblicato da Bompiani (la traduzione è di Yasmina Melaouah), il volume ha un grandissimo valore testimoniale del pensiero e dell’azione di un intellettuale che rischiava in prima persona ed era alieno da qualunque scelta di comodo. Il suo principale bersaglio era il totalitarismo: i più importanti di questi discorsi (con quello per il Nobel) furono pronunciati in occasione della rivolta ungherese, della condanna a morte di undici sindacalisti spagnoli da parte del regime di Franco, dello sciopero degli operai siderurgici di Poznan soffocato nel sangue dal regime polacco, del conflitto algerino. ma già dal primo dei suoi interventi emerge con chiarezza che il suo approccio politico, il suo insegnamento, era fondato sui valori della libertà (ogni libertà, da difendere una per una), della giustizia, della centralità dell’uomo. “Non è un caso che il primo obiettivo di ogni progetto dittatoriale sia asservire nello stesso tempo il lavoro e la cultura”, dice nel maggio del ‘53 di fronte ai sindacati francesi riuniti a Saint-Etienne, sottolineando come “la rivoluzione fatta dai lavoratori nel ’17”, che “fu realmente l’alba della vera libertà e la più grande speranza che questo mondo abbia conosciuto (…) si è armata e munita di una polizia”. Riccardo De Gennaro

 

Rachel Carson  Brevi lezioni di meraviglia (Aboca)

Nel nostro immaginario la meraviglia è forse ancora prevalentemente un’idea romantica. ma la storia e la scienza ci hanno mostrato che non è solo qualcosa di ideale, anche di materiale. Si possono dare lezioni di meraviglia, seguendo tanto il metodo scientifico dell’osservazione sensibile quanto la prospettiva emotiva della letteratura e quella argomentativa della filosofia? Rachel Carson, biologa marina, riesce davvero a darci queste lezioni, con un piccolo libro che apparve per la prima volta nel 1956, ora ripubblicato in Italia dalle edizioni Aboca. Brevi lezioni di meraviglia, che ha come sottotitolo Elogio della natura per genitori e figli, può essere considerato una prosa sociale, naturalistica e poetica, antesignana dei discorsi sull’ecologia di oggi. Insieme al nipote di tre anni, Roger, l’autrice attraversa i paesaggi della costa est degli Stati Uniti: il bosco sotto la pioggia, i grandi prati, la marina al chiaro di luna, l’orizzonte stellato che si accende sopra le rocce. Davanti al paesaggio, lo sguardo dell’adulto e quello del bambino si accompagnano. Per insegnare ai piccoli a conoscere il mondo, gli adulti devono fare uno sforzo di autenticità, di visione limpida. L’esplorazione e la conoscenza – sia della natura che dell’uomo – sono un attraversamento, oltre che intellettuale, biologico e terapeutico. La meraviglia fa parte della nostra essenza autentica di viventi. Abbiate il coraggio dell’autenticità, ci dice dunque la Carson, per conoscere, ma anche per amare. Maria Borio

 

Sylvain Prudhomme  I più grandi (66thand2nd)

Lo scrittore francese Sylvain Prudhomme, ne I più grandi – edito da 66thand2nd nella traduzione di Anna D’Elia – racconta gli ultimi tumultuosi decenni della storia della Guinea Bissau, il piccolo stato dell’Africa occidentale. Attraverso la voce narrante di Saturnino Bayo (personaggio di finzione), detto Couto, leader e chitarrista dei Super Mama Djombo famosissima band musicale realmente esistita, il lettore viene trasportato tra i vicoli di Bissau e all’interno del recente passato del Paese. È la militanza politica per l’indipendenza dal colonialismo portoghese avvenuta nel 1974 quella che Prudhomme racconta attraverso la voce di Couto, ma anche gli anni dei colpi di stato e delle giunte militari, sono gli anni della fama internazionale dei Super Mama Djombo, ma è anche e soprattutto la storia di un grande amore, l’amore per Dulce, voce del gruppo e amatissima ex-compagna di Couto, improvvisamente scomparsa. La morte di Dulce è l’espediente narrativo dal quale prende vita tutta la narrazione, che copre l’arco di una sola giornata, ma che permette alla voce narrante lunghi excursus e flash back temporali che danno vita a un dialogo costantemente teso tra la dimensione interiore del protagonista e la dimensione collettiva e politica di un intero Paese. Prudhomme convince nel tentativo di portare a termine queste due istanze, in un romanzo che non è solo un attraversamento privato, ma anche un grande affresco collettivo, culturale e musicale. Maria Camilla Brunetti 

 

Thomas BernhardPeter Hamm Una conversazione notturna (Portatori d’acqua)

Peter Hamm: “Per essere uno scrittore ha pochissimi libri a casa. Come mai?”. Thomas Bernhard: “Perché i libri mi opprimono, fosse anche uno solo. Un po’ come uno che lavora in latteria: di certo non vorrà avere del burro in casa. Se tenesse a casa cento o mille panetti di burro finirebbe per impazzire”. Comincia così Una conversazione notturna, lunga e interessante intervista che alla fine Thomas Bernhard non volle fosse pubblicata, ma che per fortuna è apparsa nel 2011 in lingua tedesca e in queste settimane in italiano, grazie al piccolo editore Portatori d’acqua. Dopo una serata in un ristorante nei pressi della sua casa di Ohlsdorf e molto vino, il critico si ricorda che era venuto per un’intervista. A mezzanotte accende il registratore e a poco a poco lo scrittore austriaco, noto per la sua misantropia, svela qualcosa di se stesso. Ad esempio, che da piccolo aveva due desideri: suicidarsi (arrovellandosi sul metodo) e diventare famoso (il come gli era del tutto indifferente). Poi che era affascinato, oltre che da Faulkner, da Thomas Wolfe e che “Angelo, guarda il passato” era uno dei libri che amava di più. Tra i filosofi i suoi favori andavano soprattutto a quelli che non avevano un sistema, come Pascal e Montaigne. Bernhard racconta, in particolare, la sua diffidenza nei confronti degli editori che definisce perfidi, ipocriti, cattivi. E ricorda gli anni in cui scriveva cronache giudiziarie che “il più delle volte non erano aderenti ai fatti”, ma erano “piuttosto divertenti”. Riccardo De Gennaro 

 

 

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