I libri che abbiamo letto su Reportage numero 44

I libri che abbiamo letto e recensito sul numero 44 di Reportage 

 

Renzo Paris  Miss Rosselli (Neri Pozza)

La vita disperata di Amelia Rosselli, che si concluse con il suicidio, è forse più conosciuta dei sui tortuosi versi. Con Miss Rosselli, Renzo Paris, che fu suo grande amico, tenta di collegare i due versanti, quello artistico e quello biografico, l’uno peraltro specchio dell’altro. Le poesie di Amelia Rosselli, figlia di Carlo, ucciso su ordine di Mussolini dai fascisti francesi con il fratello Nello nel giugno del ‘37, non possono d’altronde che essere – nella sofferenza, nel dolore, nella pazzia – il racconto e l’interpretazione di una vita di apolide, durante la quale le “voci” che opprimevano la sua mente, il senso di persecuzione, la paura di essere uccisa prima dai nazifascisti, poi dagli agenti della Cia, furono incessanti. Ma prima del volo finale dal balcone, nonostante gli innumerevoli ricoveri nelle cliniche italiane e svizzere e gli elettroshock, la morte della madre Marion, dopo quella del padre, la prematura scomparsa dell’amato Scotellaro, che conobbe a Venezia nell’aprile del ’50, Amelia seppe sempre rinascere, forte del sostegno di Pier Paolo Pasolini, confortata da quelli che chiamava “amorastri” (con Carlo Levi, Tobino, Volponi), ma anche dall’affetto di molti amici, in particolare giovani poeti che la veneravano, a partire da Dario Bellezza. Per oltre un decennio, dopo Castelporziano, Amelia, che lavorò anche con Carmelo Bene in un Amleto, fu non solo poetessa trilingue, ma anche musa di molti per il suo genio e per la sua bellezza (una figura eterea, alta, magra, malinconica, con quei suoi occhi azzurri e penetranti). Lo stesso Paris – che nell’ultima parte del libro chiama a testimoniare amici e amiche che ebbero a che fare con lei – dice di esserne stato innamorato (senza mai dichiararsi per il timore reverenziale che lei gli incuteva), un sentimento che si percepisce pienamente anche nel libro, ricco di aneddoti e di curiosità. Come quando Amelia racconta che quelle voci sparivano dalla sua mente e dal suo corpo nel momento in cui impugnava il violino o si dedicava alla danza, così come le sue poesie “danzavano” liberamente tra l’adolescenza e la morte. D’altronde non è forse “La libellula” il suo poema-manifesto? Un poema che peraltro riprende, come altrove, l’amato Rimbaud: “Trovate Ortensia: la sua meccanica è la solitudine/ eiaculatoria. La sua solitudine è la meccanica/ eiaculatoria. Trovate i gesti mostruosi di Ortensia:/ la sua solitudine è popolata di spettri, e gli/ spettri la popolano di solitudine. E il suo amore/ rumina e non può uscire dalla casa”. Riccardo De Gennaro 

 

Eric-Emmanuel Schmitt  Madame Pylinska e il segreto di Chopin  (Edizioni e/o)

Eric-Emmanuel Schmitt, celebre drammaturgo e scrittore francese, ha iniziato a suonare il pianoforte all’età di nove anni, ma è stato un incontro quando era appena ventenne a cambiare il suo rapporto con la musica. Questo incontro, rivoluzionario e inaspettato, porta il nome di madame Pylinska, una donna polacca emigrata a Parigi che diventerà la sua insegnante di piano e gli schiuderà le porte dello studio di Chopin, da Schmitt a lungo agognato. È di questo che Schmitt scrive in Madame Pylinska e il segreto di Chopin (traduzione di Alberto Bracci Testasecca). Per essere in grado di suonare bisogna prima sapere ascoltare il silenzio. Tutto parte da qui. “Chopin scrive sul silenzio, la sua musica ne esce e ci ritorna, è praticamente cucita al silenzio”, si sentirà dire da madame Pylinska durante il loro primo incontro. E così, a ogni lezione, invece che esercitarsi sulla tastiera, l’insegnante chiederà a Schmitt di fare esercizi apparentemente molto lontani dalla pratica musicale, come comprare semi ed esercitarsi a fare cerchi sulla superficie del lago dei Jardin de Luxembourg per osservare la risonanza delle onde, oppure sedersi e contemplare l’effetto del vento tra i rami degli alberi o ancora fermarsi per ascoltare la voce di Maria Callas in “Casta diva”.  Addentrandosi nell’intimità del mistero di Chopin, una solitudine che conversa con un’altra solitudine, il giovane Schimtt conoscerà la vita.  Maria Camilla Brunetti

 

Adolfo Scotto di Luzio Nel groviglio degli anni Ottanta  (Einaudi)

Politica e illusioni di una generazione nata troppo tardi è il sottotitolo del saggio Nel groviglio degli anni Ottanta di Adolfo Scotto di Luzio, il quale ricostruisce la formazione della propria generazione, quella dei nati in Italia alla fine degli anni Sessanta: troppo giovani per aver vissuto a pieno i movimenti del Sessantotto e destinati a essere risucchiati dalle logiche del neoliberalismo anni Ottanta. La chiave del libro è uno svelamento documentato dei rapporti tra illusioni e disillusioni di ragazzi che hanno sognato un posto centrale nella storia, avendo nello stesso tempo una profonda coscienza di una sconfitta: sempre un passo indietro, sempre in uno stato di desiderio inappagato. Da un’infanzia all’ombra dei padri, quelli che il Sessantotto lo hanno fatto davvero, a un riflusso politico ed esistenziale nelle proprie vite. Che cosa è oggi questa generazione, che cosa resta di quegli anni? Per coloro che sono nati dopo, a partire dagli anni ottanta, il groviglio di cui parla con onestà questo libro potrebbe forse apparire come una giustificazione, una difesa per una generazione che non ha potuto – o non ha voluto – assumersi responsabilità personali e sociali. Che la colpa sia sempre dei padri è una tradizione ancestrale, ma – alla fine – il divenire della storia è il frutto delle scelte sia dei padri, sia dei figli, così come delle madri e delle figlie, se vogliamo aggiungere una linea matriarcale a quella patriarcale su cui il libro è sostanzialmente centrato. Maria Borio

 

Ali Bécheur  Il paradiso delle donne  (Brioschi editori)

L’intera narrazione de Il paradiso delle donne dello scrittore tunisino Ali Bécheur (traduzione di Yasmina Melaouah) è affidata al monologo interiore di un uomo di circa settant’anni, che vive una (forse) ultima travolgente passione amorosa. Luz, questo è il nome della donna, è l’invocazione del desiderio e del sogno, l’urgenza del viaggio interiore e lo strazio dell’attesa e dell’assenza. L’uomo ripercorre la sua vita, dall’infanzia nella Tunisi della colonizzazione francese – città araba ed europea, musulmana, cristiana ed ebrea, enclave cosmopolita in cui si parlavano tutte le lingue del mediterraneo, l’arabo, il francese, l’italiano, il greco e lo spagnolo – all’età adulta trascorsa in Francia. Dai ricordi emergono il nonno imam, un capo religioso musulmano, e il padre self-made man, nato poverissimo
in un vicolo della medina antica e divenuto avvocato, che con testarda determinazione aveva voluto costruire per sé e per la sua famiglia una villa imponente nella parte europea della città, vicino ai boulevard e ai caffè- concerto, tra le vetrine dei negozi di haute-couture e i ristoranti frequentati dall’élite cittadina. Il romanzo è il viaggio a ritroso tra le immagini interiori di un uomo nato tra due mondi, in cui la ferita della parola identità emerge con tutta la sua forza. È il racconto di una vita nella quale solo il desiderio e l’amore hanno saputo divenire fondamenti del sé. Maria Camilla Brunetti 

 

Pierre Michon La Grande Beune  (Adelphi)

Pochi scrittori, oggi, hanno una scrittura nello stesso tempo nitida e impegnativa come quella del francese Pierre Michon. L’attenzione dei lettori è spesso più rivolta alla “trama”, ma quant’è importante la ricercatezza della parola, “quella” parola, che affonda le sue radici nella letteratura classica, ma che è sempre la più pronta a trovarsi nel posto giusto al momento giusto? La Grande Beune, che risale al 1996, ma che è stato pubblicato ora da Adelphi nell’eccellente traduzione di Giuseppe Girimonti Greco, è un piccolo gioiello, la scheggia luminosa di un romanzo incompiuto. e non sappiamo se arrabbiarci con Michon per non aver portato a termine il suo progetto (il titolo del libro era “L’origine del mondo”, come il quadro di Courbet), oppure se ringraziarlo per averne salvata perlomeno una porzione. Lo scrittore non ha mai spiegato le ragioni dell’interruzione, ma se si leggono queste prime 60 pagine, è evidente quanto la sua idea fosse ambiziosa: trovare i nessi tra il presente e la preistoria, forse – a ritroso – immaginare anche una nuova cosmogonia e addentrarsi nel buio primordiale, come nella grotta dove Jeanjean conduce il narratore, un maestro elementare di vent’anni giunto a Castelnau in una notte di pioggia del 1961. Io narrante a parte, protagoniste del romanzo sono due donne, Hélène, la locandiera, e Yvonne, la tabaccaia, di cui il maestrino è invano innamorato, al punto da sfogare la sua frustrazione sul figlio di lei, che è uno dei suoi allievi. Riccardo De Gennaro 

 

 

Reportage numero 44 è acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e in digitale.

 

 

 

 

 

 

About author