Le ferite di Srebrenica vent’anni dopo il massacro – di Federica Tourn foto di Stefano Stranges

Sebrenica, The death Valley

Le montagne sono dolci e coperte di boschi, ma la demarcazione fra Serbia e Repubblica Srpska, una delle due metà della Bosnia-Erzegovina, la fa innanzitutto il silenzio: di qua l’attività quotidiana di paesi immersi in una nebbia di carbone, di là i resti di villaggi devastati dalla guerra, un campo da calcio abbandonato, tetti e pareti crollate, i muri bucati dai proiettili, e ovunque cimiteri. Intorno ricrescono gli alberi, incuranti delle mine che nessuno si è preoccupato di togliere. Dopo quaranta chilometri di discesa verso valle, compare una città, che mostra un’inquietante alternanza di case, alcune sfigurate dalle bombe, altre riverniciate con colori shocking, lungo l’unica via che attraversa il centro: due bar, un vecchio albergo e una fiammante sede Unicredit, su cui troneggia la chiesa ortodossa. Benvenuti a Srebrenica, teatro del primo genocidio che l’Europa ricordi dopo quello nazista, avvenuto sotto gli occhi e con la complicità
delle Nazioni Unite. Sembra accaduto ieri, ma sono passati vent’anni (…)

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