Coronavirus, il sonno delle Regioni genera mostri | di Stela Xhunga

Lodi. La solitudine è dietro l’angolo. Per capirlo bastava guardarsi “Il posto”, il bel film del 1961 di Ermanno Olmi, lombardo, originario di Bergamo, nelle cui chiese, oggi, sfilano bare senza sosta, incessantemente. “Stiamo lavorando 24 ore al giorno, alcuni dei miei colleghi che fanno le notti non dormono da, boh. In tredici giorni abbiamo assistito più di 400 decessi. L’azienda di cui faccio parte gestisce 1.300-1.400 decessi all’anno. Fermatevi un attimo a fare la proporzione: in poco più di dieci giorni abbiamo fatto quello che possiamo fare in quattro mesi! E siamo solo un’azienda di onoranze funebri”. A scriverlo pubblicamente via Facebook è una ragazza, bergamasca anche lei, come Olmi. Una successione di eventi, contagi, morti solitarie e vite solitarie impressionante, tutto nell’arco di nemmeno quattro settimane. Una successione di numeri, a ciascuno il suo bollettino, la sua data di riferimento. 

Era il 22 febbraio, sembra un secolo. In attesa di intervistare il sindaco di Lodi, Sara Casanova, nella sala d’ingresso del municipio il clima è disteso. Si parla di cucina vegetariana. “Porridge d’avena con pezzetti di mela e bacche di Goji, la colazione ideale”, dice la vigilessa. Qualcuno se la prende coi cinesi che “lanciano il maiale dal ponte” (il caso risale a gennaio, nel parco della città di Chongqing, nel sud-est della Cina, all’inaugurazione di un nuovo bangee jumping) e le mascherine usa e getta che, oltre a essere ormai introvabili a Lodi, costano la bellezza di dieci euro, più di un euro all’ora, considerato che hanno validità di otto ore. “Io l’ho avuta gratis perché lavoro qui, ma è da farci un’inchiesta, c’è da chiamare l’Antitrust”. Sul Coronavirus, chi si dice preoccupato, chi si mostra fatalista, tutti sanno che c’è da aspettare ed essere ligi alle norme di buonsenso. 

Poi l’intervista a Sara Casanova, che non ama essere chiamata sindaca, preferisce sindaco. Alla domanda se si sente rassicurata dalla conferenza stampa tenutasi venerdì in Regione Lombardia, a poche ore dalla scoperta dei contagi nella bassa lodigiana, Sara Casanova, sindaco di Lodi, fa un lungo respiro prima di rispondere “sì” e aggiungere “in parte”. Sentirsi rassicurati in questa situazione “non è facile, il panico è generalizzato e bisogna contenerlo”. La nota emanata il giorno prima dal ministro della Sanità, Roberto Speranza, d’intesa col governatore della Lombardia, Attilio Fontana, e il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, è chiara, traccia il confine dei dieci Comuni toccati dal contagio, più altri tre Comuni limitrofi, e prevede una serie di azioni di contenimento, tra cui la chiusura delle scuole. E per i Comuni, come quello di Lodi, esclusi dalla nota ministeriale? Le decisioni sono a discrezione del sindaco, che sul tavolo tiene l’opuscolo con i dieci comportamenti da seguire e le ordinanze diffuse ieri sera. Durante l’intervista ne rilegge i contenuti in continuazione, la voce è ferma, lo sguardo meno. Alla domanda del perché tenere le scuole aperte, Casanova il sindaco, dice: “Se oggi Lodi avesse chiuso le scuole, perché non i mercati, gli esercizi commerciali, tante altre attività?”. Già, perché? Uscita dal Municipio, il sole, le persone in bicicletta, la piazza quadrata più grande d’Italia. Chi dice che i lombardi sono freddi è perché non ha mai assistito a una delle loro gare ciclistiche, non è mai entrato nelle loro trattorie, con gli Alfredo Binda alle pareti. 

Da quel 22 febbraio e quelle chiacchiere futili al Municipio di Lodi tutto è cambiato. I medici e gli infermieri sono diventati eroi, lavorano 40 ore senza darsi il cambio, all’inizio senza tamponi. Povera la terra che ha bisogno di eroi perché significa che i lavoratori non bastano e i loro diritti sono negati. Chi l’avrebbe detto, nell’eccellente Lombardia. Dopo la disgraziata riforma del Titolo V della Costituzione, l’inefficienza, gli sprechi e la corruzione si sono moltiplicati in tutte le Regioni, da Nord a Sud. L’arrivo del virus è stato devastante. Ogni Regione, lo vediamo ancora, riesce a essere efficiente per la laboriosità dei suoi lavoratori e corrotta per l’azione delle sue classi dirigenti. Benedetti lavoratori, “Dio vi benedica”, scrivevano durante i primi giorni di epidemia i direttori ai propri operatori, esausti. C’era la certezza che il Coronavirus sarebbe rimasto lì, nella bassa lodigiana. Chissà perché, poi, proprio lì. Una certezza naïve, ottusa, come certe testardaggini dei bambini. Voglio quella, dicono i bambini, nient’altro che quella, quella e basta. La zona rossa, la bassa lodigiana. E il resto d’Italia si sentiva libero, verde, “strega comanda color”. 

Un’altra cosa che il Coronavirus ha portato alla luce è il regionalismo. Qualche giorno dopo l’intervista (mai uscita, scelta di cuore) al Sindaco di Lodi, nei social è andato in scena uno strano spettacolo: lo sfottò tra Nord e Sud. Qualcosa di non dissimile ai cori di Matteo Salvini quando cantava “Chi non salta napoletano è”. E che tenerezza era vedere i cosmopoliti, i progressisti, i decostruzionisti del concetto di “patria”, riscoprirsi regionalisti, veneti, romanisti, sudisti, eccetera. C’era da dare una carezza sul capo a tutti. Ai più alti e carini, magari, un bacio, ma da parte di una di Lodi nessuno lo avrebbe accettato, tanta era l’ostinazione con cui si pensava che il Coronavirus sarebbe rimasto, per qualche strana ragione, circoscritto, lì, tra Castiglione d’Adda e Codogno, a pochi chilometri da Lodi, dove quel gran genio frou frou di Arbasino ambientò uno dei ritratti più veritieri della borghesia lombarda. Nel ruolo de “La bella di Lodi” recitò Stefania Sandrelli, giovanissima, un fiore. 

Oggi dei fiori non sappiamo cosa farcene. Oggi servono respiratori e posti letto in terapia intensiva, i fiori non sono buoni nemmeno per i funerali, perché neanche le funzioni funebri si fanno più, troppa vicinanza, il rischio contagio è altissimo. Si vive soli e si muore soli, in un tempo sospeso. Dopo anni, decenni di propaganda, al grido di “autonomia differenziata”, abbiamo prima affrontato il virus con il regionalismo, poi, impauriti, con il nazionalismo. Del fallimento, la pericolosità, e lo squilibrio del federalismo declamato e della sconcertante “balcanizzazione” della sanità che ne è seguita, non si è mai parlato abbastanza. Torneremo a farlo. Nel frattempo, ognuno cerchi di combattere la solitudine come può. Era dietro l’angolo, proprio come aveva detto Olmi. 

 

 

photo credit: Miki Golden 

 

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