Congo, dagli zoo umani del Belgio colonialista all’epidemia di morbillo | testo di Stela Xhunga

Poco più di sessant’anni fa, a Bruxelles, si poteva ancora “ammirare” uno zoo umano. Al posto degli animali, gli africani. Era il 1958, l’anno in cui nasceva la Corte europea per i diritti umani, si scopriva il microchip, la nazionale di calcio brasiliana vinceva il primo titolo mondiale battendo la Svezia per 5 a 2, le gonne si accorciavano in anticipo sulle forbici di Mary Quant. Tirava aria di ottimismo, di “boom”, come lo chiamavano, e tuttavia, anche nei pamphlet della sinistra operaista, come nelle canzoni di Fausto Leali, era pacifico imbattersi nella parola «negro». Quell’aprile, nell’area dell’Heysel, ai piedi dell’Atomium, la risposta belga alla Tour Eiffel, quasi seicento persone del Congo (belga), uomini, donne e bambini, erano esposte alla curiosità dei visitatori all’interno di un grande giardino tropicale recintato contenente un finto villaggio africano e un ponticello per consentire un migliore panorama. “Precorrere di vent’anni la civiltà futura”, recitava lo slogan dell’evento.

Era l’Expo di Bruxelles, la prima del secondo dopoguerra, il governo belga ostentava la sua potenza colonialista attraverso una ricostruzione – un reenactment, come si direbbe oggi, dei villaggi di un possedimento coloniale che di lì a poco avrebbe perso. Nel maldestro tentativo di ammorbidire l’eredità di Leopoldo II, il Belgio apparecchiò Kongorama (questo il nome della ricostruzione) affinché i suoi cittadini potessero vedere da vicino, al di qua delle sbarre, quanto fossero buffi, teneri e strani quei bipe- di neri vestiti in modo diverso da loro: 598 congolesi, di cui 273 uomini, 128 donne e 197 bambini, per un totale di 183 famiglie, si trovarono a dovere mimare ciascuno la propria vita dentro una gabbia fatta di canne di bambù alla mercé del pubblico che ogni giorno accorreva all’Expo per vederli.
“Se, da un lato, i congolesi non reagivano, i visitatori lanciavano monete o banane attraverso le fessure del recinto”, scrisse all’epoca un giornalista testimone dei fatti. Una sorta di performance collettiva di Marina Abramovic’, ma senza Marina Abramovic’. (…)

 

 

 

ph. Una foto aerea, scattata nell’aprile 1958, dell’area del padiglione belga dell’Expo di Bruxelles. Si riconosce l’atomo (foto Afp/ Getty Images).

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage n. 40 acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale

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