Argentina, il glifosato che provoca la morte per proteggere la soia | testo e foto di Marco D’Antonio

Alessandro Di Marzio è un ricercatore dell’Università di Murcia, che si trova a Bariloche, nella Patagonia nord-occidentale, per una campagna di studi sull’inquinamento da metalli pesanti che rappresentano una delle principali fonti di contaminazione dannose per la fauna della regione in seguito principalmente all’eruzione dei vulcani andini, alla presenza di miniere e al piombo utilizzato nelle pallottole per la caccia sportiva. Lo incontro nel bar “El molinito”, in Avenida Belgrano, un lungo vialone in salita a poche centinaia di metri dalla casa dove venne catturato Erich Priebke. Mentre ci beviamo “un cafecito” mi dice della sua ricerca basata sulle analisi delle piume dei condor, uno studio che mette a confronto i dati della città di Bariloche, definita a bassa contaminazione, con quelli di Neuquen, ad alta contaminazione. La differenza tra le due zone, mi spiega, è dovuta alle differenti attività economiche: mentre nella zona di Bariloche l’allevamento e il turismo sono le attività principali, nella zona di Neuquen, a soli 400 chilometri di distanza, la principale fonte di reddito è l’agricoltura. Neuquen, infatti, ha un ruolo molto importante nella coltivazione delle mele, quindi c’è un utilizzo maggiore di fertilizzanti e diserbanti, tra cui il glifosato, l’erbicida dalla Monsanto che, all’indomani della crisi argentina del 2001, si è diffuso perlomeno nella metà del Paese.

Mentre seguo i ricercatori nelle steppe patagoniche alla ricerca di uccelli necrofagi da studiare, do inizio alle mie ricerche per capire quali potrebbero essere i danni provocati dall’utilizzo continuo dell’erbicida. Di fatto, dalla sua messa in commercio col nome di Roundup, il glifosato ha radicalmente trasformato l’agricoltura industriale del Paese ormai avviata verso un nuovo modello fatto di monoculture transgeniche, tralasciando un modello agricolo basato su biodiversità e saperi antichi. Gli agricoltori argentini sono stati spinti a triplicare la loro produzione con l’introduzione della soia geneticamente modificata e l’utilizzo di nuove macchine per la semina diretta, che non prevede la lavorazione tradizionale dei terreni (aratura e fresatura), ma necessita di terreni secchi per nulla umidi, resi tali attraverso irrorazioni continue di glifosato. Quest’ultimo, usato su oltre 100 colture, tra cui soia, mais, barbabietola e cotone, è un diserbante non selettivo necessario per impedire la crescita di piante infestanti senza ledere quelle i cui semi, appositamente modificati geneticamente, sono invece resistenti all’erbicida. Tutto questo mentre, dal marzo 2015, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha dichiarato che il glifosato è pericoloso per l’ambiente e potenzialmente cancerogeno per l’essere umano. (…)

 

 

ph. San Marcial, provincia di Entre Rios. Marta Elsa Cia, era una produttore di pollame. Oggi, malata, la chiamano “la pazza con la maschera”.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage n. 39 acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale

About author