Dopo la fine del comunismo in Bulgaria una continua fuga di forza lavoro | testo e foto di Mattia Marzorati

Uomini di diverse unità presidiano le vie del centro e impediscono ogni contatto fra le due tifoserie. Le forze di polizia hanno blindato il parco nel quale si trova lo stadio Vasil Levski. Il derby di Sofia tra Levski e Cska è conosciuto come uno dei più violenti d’Europa da quando, nel 2000, un trentenne è morto a seguito di un’esplosione. Lo scorso anno un poliziotto ha rischiato la vita sempre per lo scoppio di un ordigno e le autorità non vogliono che si ripetano incidenti. Il bilancio della domenica sarà di 1 a 0 per il Levski e di 44 arresti per disordini, detenzione di armi e droghe.

Per due volte ogni anno il derby di Sofia mette allo scoperto i nervi di una nazione ancora traumatizzata dal suo recente passato. Solo trent’anni fa il capo di Stato, Todor Zivkov, veniva espulso dal Partito comunista bulgaro, dando il via al processo di democratizzazione del Paese. Nonostante un anno più tardi, nel 1990, le prime elezioni premiassero il neonato Partito socialista, diretta eredità del precedente governo comunista, la Bulgaria si presentava al mondo come Repubblica parlamentare.

I cambiamenti del panorama politico hanno avuto diversi impatti demografici. L’apertura delle frontie- re rese possibile il ritorno in patria di oltre 150mila turchi, vittime di una politica di integrazione forzata condotta durante il biennio 1984-85, con la quale chiunque avesse un nome di origine turca o araba avrebbe dovuto cambiarlo per uno slavo; non solo: l’opposizione delle minoranze musulmane fu sop- pressa violentemente e in decine di migliaia furono deportati in Turchia. (…)

 

 

ph. Un gruppo di musulmani prega in una delle due moschee di Ribnovo.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage n. 39 acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale

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