Il labirintico “camminare” di Bernhard – di Micaela Latini

Tra le tante altre cose, un’opera letteraria è anche un luogo di memoria del vissuto, e il luogo è in qualche modo sempre anche un testo da attraversare con lo sguardo (da leggere). La narrazione, infatti, partecipa in modo più o meno diretto alla produzione dello spazio, prendendo una posizione. In quest’apertura letteraria si colloca il romanzo breve o il racconto lungo di Thomas Bernhard, Gehen, del 1971, finalmente disponibile per Adelphi in edizione italiana con il titolo Camminare, nella traduzione di Giovanna Agabio. Una pubblicazione che colma una grande lacuna nel panorama bernhardiano, e letterario in genere, e che vede la luce in contemporanea con l’edizione portoghese dal titolo Andar. Certo, avventurarsi e poi inoltrarsi nell’opera di Thomas Bernhard non è precisamente come fare una passeggiata, e questo sia per i diversi rimandi intertestuali che costellano i suoi testi, sia anche per quella prosa labirintica che è anche la sigla ineguagliabile della sua scrittura.

La passeggiata è però un motivo ricorrente nell’opera di Bernhard. Le sue figure letteraria marciano, corrono, si muovono in boschi, lungo percorsi di montagna o in contesti cittadini, ancor più spesso all’interno delle perturbanti mura domestiche, ma sempre “in direzione opposta”. E di fatto il pensiero in Bernhard muove in direzione radicalmente opposta rispetto al procedere della vita. Di qui una contrapposizione netta tra andare e pensare, che è anche una contrapposizione tra la società e l’intellettuale, l’istituzione e il singolo, tra un pensiero che vuole togliere il non-senso e un pensiero che invece accoglie il non-senso come suo elemento costitutivo: “E mentre lo Stato e mentre la società e mentre la massa fanno di tutto  per eliminare il pensiero, dice Oehler, noi ci opponiamo a questi sviluppi con tutti i mezzi a nostra disposizione, anche se noi stessi per la maggior parte del tempo crediamo nell’insensatezza del pensiero, perché sappiamo che il pensiero è piena insensatezza (…) ma perché sappiamo con altrettanta precisione che noi senza l’insensatezza del pensiero non siamo, ovvero non siamo nulla”.

Si tratta di un cammino di pensiero che risponde a una dimensione rituale (come tipico in Bernhard): i due protagonisti, Karrer e Oehler, si ritrovano o meglio si ritrovavano da vent’anni (!) a scadenza fissa di mercoledì per camminare (e quindi per pensare) insieme all’anonimo Io-narrante lungo la Klosterneuburgerstrasse di Vienna. In questi passi incrociati  riflettono insieme su quello che hanno visto, sentito, pensato nel corso della settimana, ma soprattutto sulla insensatezza dell’esistenza (e sul non-senso delle loro stesse riflessioni). Al centro dei loro discorsi, o meglio del lungo soliloquio di Oehler riportato (in tipico stile bernhardiano) da Karrer, è la questione della connessione tra pensiero, linguaggio e realtà: “Bisogna sapere, dice Ohler, che tutte le frasi che vengono dette e che vengono pensate e in generale che esistono, sono al tempo stesso vere e al tempo stesso false, se si tratta di frasi vere” (viene subito in mente il lungo monologo del Principe Saurau in Perturbamento sulla fallacità delle immagini del mondo).

Ma, in un pericoloso gioco di riflessi le parole di Oehler rimandano a quanto dice Karrer, e spesso riportano sentenze dello stesso Karrer: «In fondo tutto ciò che viene detto è citato», frase anch’essa mutuata dal serbatoio karreriano. In altre parole Oehler è un imitatore di voci di Karrer, che finisce per ripetere le frasi altrui, per appropriarsi del pensiero altrui (quel che accadeva al custode Irrsigler con Reger in Antichi Maestri). Ma tutto questo giunge al limite estremo delle sue possibilità, quando, in un attimo, subentra la follia ad oscurare totalmente la mente di Karrer, ora ricoverato nel noto ospedale psichiatrico viennese dello Steinhof (scenario di un’altra opera bernhardiana quale Il nipote di Wittgenstein). Tutto questo accade quando non s’interrompe il pensiero (spinto all’estremo) prima del limite di sensatezza possibile, prima che diventi una prigione, prima che si venga trascinati tra tutte le possibilità della mente umana: “L’arte della riflessione consiste nell’arte, dice Oehler, d’interrompere il pensiero esattamente prima dell’attimo letale”.

È questo il punto cardine del romanzo: l’irrompere della malattia mentale in Karrer, e la tonalità filosofica che lo caratterizza. Il personaggio di Bernhard impazzisce in un negozio di abbigliamento, dove si era recato per un acquisto, e questo mentre il proprietario del negozio, Rustenschacher, nel piano inferiore, etichetta i pantaloni. In questi termini potrebbe sembrare una delle tante (e interessanti) stravaganze delle opere di Bernhard. In realtà, a ben vedere, non è solo così. L’etichettare di Rustenschacher rimanda per analogia all’atto del denominare di cui parla il filosofo più amato da Bernhard, ovvero Wittgenstein (qui citato più volte), nelle sue Ricerche filosofiche: “Denominare una cosa è come attaccare a un oggetto un cartellino che reca il suo nome”. Allo stesso modo per il personaggio Karrer di Bernhard sussiste una profonda differenza tra quel che gli oggetti sono e il modo con cui li designiamo, ed è questo scarto che ci rende l’esistenza sopportabile. Non è un caso se, prima dell’avvento della follia, Karrer si era scontrato con il proprietario del negozio sostenendo che i pantaloni da lui definiti come tessuti da “stoffa inglese di primissima classe” altro non sarebbero che “merce di scarto cecoslovacca”. La stretta e rigida denominazione che fissa una volta per tutte un significante a un significato è qui all’origine della follia di Karrer. Allo stesso modo non possiamo spiegare a un altro come è lui, perché possiamo solo dire come noi lo vediamo. Di qui la considerazione che “tutto è sempre completamente diverso da come è per noi”. Se allora di un’arte di esistere contro i fatti qui (e altrove in Bernhard) si parla, questa consiste nella capacità di disarticolare, “disettichettare” i fatti, sottraendoli a una visione univoca e definitiva. Solo a queste condizioni è possibile portare avanti l’esistenza, pensare e camminare.

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