Fascino e ambiguità del sonidero messicano – di Virginia Negro

In Messico esistono dinastie di cacciatori di suoni, i sonideros. È un mestiere che si tramanda di padre in figlio, l’archivio è fatto di dischi che provengono dai mercatini di quartiere ma anche e soprattutto dalla Colombia (e dal Paraguay o dal Centroamerica) e si suonano anche negli Stati Uniti. Il sonidero è un campionatore di suoni, ma non ha bisogno di aggeggi milionari, è un artigiano delle nuove tecnologie. Ma il sonidero è soprattutto un messaggero che, mentre mixa e seleziona le musiche, lancia messaggi d’amore, saluta il padre per conto di un figlio lontano e a volte, cripticamente, fa dialogare le famiglie dei narcos tra di loro.

Negli ultimi anni, in tutto il mondo, a causa della diffusione della tecnologia digitale, gran parte della musica autenticamente popolare ha cominciato a nascere elettronicamente, ma con attrezzature sempre più economiche. Nuovi ritmi che animano i canali di Amsterdam, come i bassifondi di Marsiglia, gli “slum” di Buenos Aires, le radio pirata di Londra, o degli Stati Uniti, una scena musicale che spezza la dicotomia centro/periferia, scardina le geografie economiche, le separazioni tra Primo e Terzo mondo, tra nord e sud. Bastano un computer, creatività e voglia di ballare.

I sonideros fanno parte di questo movimento musicale globale e radicalmente popolare. Sono quei pochi eletti capaci di chiudere strade intere dei quartieri più popolari delle grandi città messicane e usarle come pista da ballo. Sono i messia del ritmo tropicale, e si destreggiano tra la cumbia, champeta colombiana, salsa e le varie frequenze del centro e sudamerica. Il Messico è territorio d’elezione del sonidero proprio perché ha una radice africana ancorata principalmente nella musica tradizionale delle coste, ed è una piattaforma per i generi tropicali in tutto il mondo, come il mambo, la salsa e la cumbia. Dal grande fratello centroamericano si diffonde e trasmette il suono di tantissime nazionalità diverse. Adottando e adattando questi ritmi chi fa parte di questo movimento crea una nuova cultura e un nuovo immaginario sociale profondamente sincretico e in continua trasformazione.

Fanno muovere la capitale, come la più modesta città di Puebla, ma anche i latinos di New York, dissolvendo così le frontiere, e trasformando le comunità emarginate in fenomeni culturali, superando l’onnipotente multinazionale dell’industria musicale istituzionale. Una comunità culturale continuamente in crescita proprio perché transnazionale, costantemente in contatto con altri patrimoni etnici e musicali. I sonideros si appropriano non solo delle variabili musicali ma anche dei mezzi di comunicazione, creando fanzine specializzate, programmi radio e siti web con un’estetica fortemente riconoscibile.

Sono i Dj del popolo, con il proprio nome (Dj Yodex, Audio 64, tra i vari esempi), sono così famosi che potrebbero riempire interi stadi, e da buoni Dj organizzano spettacoli di suoni e luci, campionando ad arte. Ma il sonidero è molto di più: è un riferimento culturale, una forma d’esistenza dell’industria musicale, un profeta della strada arrivato per diffondere il verbo del ritmo tropicale sulla Terra. Anche perché, come dicono i sociologi, il sonidero non è un individuo, è un set, è l’anima collettiva di un intero quartiere, la tradizione di un gruppo generazionale, un segno d’appartenenza e di rivendicazione identitaria.

Si tratta di un fenomeno culturale spesso emarginato, continuamente in lotta con le autorità. Nel settembre scorso il governo municipale della città di Puebla, a quattro ore dalla capitale, ha proibito le feste: “Durante questi eventi la gente si ubriaca, e diventa aggressiva”, sostiene il segretario municipale José Ventura Rodríguez Verdín. Una battaglia che dura da sempre quella tra i sonideros e le istituzioni, come spesso accade con chi fa della strada e dello spazio pubblico un territorio creativo e di riunione.

L’Università nelle sue branche social-antropologiche si è interessata al fenomeno sonidero, tra i vari progetti esiste il Proyecto Sonidero, coordinato da Mariana Delgado e Marco Ramirez, a cui si è aggiunta la fotografa e videoartista brasiliana Livia Radwanski. Per oltre sei anni i tre hanno partecipato e documentato con immagini, video, interviste e paper accademici l’ambiente sonidero soprattutto a Città del Messico, dando vita al libro “Sonideros en las Aceras, Venganse la gozadera”  e ad esposizioni in sud e nord america ed Europa. “L’aspetto che mi ha interessato del fenomeno sonidero è stato quello dell’immaginario di genere, inclusivo ed allegro. Infatti, le persone LGBT sono non solo benvenute ma anche figure spesso protagoniste, non raramente sono gli organizzatori delle coreografie: un aspetto fondamentale nelle feste sonidere. Esiste un’inclusione non solo sonora ma anche sessuale che ho apprezzato, soprattutto pensando al machismo endemico di cui patisce un paese come il Messico”, dice Livia Radwanski.

Uno, nessuno, centomila. Come nella migliore tradizione zapatista, il subcomandante Marcos docet, l’identità del sonidero è multipla. Non esiste in questo mondo il protagonismo divistico tipico dell’industria musicale mondiale. Sonido Sonoramico è uno dei tantissimi esempi, un gruppo composto da un’intera famiglia di cinque persone, tra cui una donna, che portano la Colombia in Messico, salsa e cumbia, ancora con i vecchi Lp. Il sonidero è una famiglia, è il padre e il figlio, la madre e la sorella, o sono due amici, che decidono di intraprendere insieme una strada, quella della pista da ballo.

 

 

ph. Livia Radwanski

 

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