La liberazione di Mosul, roccaforte dell’Isis, non ha restituito fiducia – di Francesca Mannocchi, foto di Alessio Romenzi

Mosul ovest è un ammasso di rovine. A due mesi dalla fine della guerra ancora si cercano i corpi sotto le macerie. L’aria è irrespirabile. Il silenzio che circonda la città è tragico come i volti dei cittadini sfollati. Circa un milione.

L’Iraq si trova di fronte a una prova difficile, ricostruire la seconda città del Paese e ristabilire una tranquillità sociale in una comunità profondamente segnata da divisioni settarie.

Dopo otto mesi di guerra aspra, brutale e violentissima, le forze irachene controllano di nuovo Mosul. La polizia federale presidia quella che era la città vecchia, ridotta a un indistinguibile ammasso di polvere e detriti. Quelli che erano i vicoli antichi della città sono segnati da crateri creati dai bombardamenti, resti di ordigni esplosivi nelle case, pochi oggetti che hanno resistito alle furia della battaglia a ricordare che a Mosul, un tempo, c’è stata vita.

“Il prezzo della libertà è alto”, dicono i soldati iracheni ai check point, non è chiaro se con orgoglio o dispiacere. Lise Grande, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per l’Iraq, ha dichiarato che Mo- sul rappresenta “la più grande sfida di stabilizzazione che l’Onu abbia mai affrontato: per la sua scala, la complessità e la portata dell’azione richiesta”. Su 54 quartieri residenziali “15 sono distrutti, 23 modera- tamente danneggiati, 16 leggermente danneggiati” ha detto. I numeri della guerra sono impressionanti, otto mesi di combattimento hanno provocato quasi un milione di sfollati, numero che ha superato le peggiori previsioni delle Nazioni Unite, che avevano previsto circa 750mila persone in fuga dalle proprie abitazioni. (…)

 

 

 

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