La guerra “dimenticata” tra cristiani e musulmani – di Daniele Bellocchio foto di Marco Gualazzini

Africa, Central African Republic, Ndassima. The Ndassima gold mine, before the civil war, was run by Aurafrique, a subsidiary of the Canadian company Axmin. Today it is under the control of the Seleka. Over 1500 former workers now live almost like slaves, in extremely precarious conditions. 7th February 2015 ©Marco Gualazzini

Africa, Central African Republic, Ndassima. The Ndassima gold mine, before the civil war, was run by Aurafrique, a subsidiary of the Canadian company Axmin. Today it is under the control of the Seleka. Over 1500 former workers now live almost like slaves, in extremely precarious conditions. 7th February 2015
©Marco Gualazzini

Il corteo avanza per le strade del Pk5, il ghetto musulmano di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove i cittadini islamici si sono rifugiati e asserragliati per sfuggire alla “pulizia confessionale” delle milizie cristiane e animiste degli Anti-Balaka. Alla testa c’è Abdel Kader Kalil, ex generale delle forze della Seleka e ora leader delle formazioni islamiche di autodifesa presenti nel rione. Cammina, avvolto in una jalabia candida che, circondato dalla schiera di uomini che lo accompagna, gli conferisce un’aura ascetica. Si fregia del titolo di generale, memoria di un passato di idolatrata marzialità, a dispetto di un oggi da ras. “Noi, dopo quasi due anni, ritorneremo al cimitero dove sono sepolti i nostri cari –  annuncia con messianica autorevolezza – il camposanto islamico è in territorio degli Anti-Balaka, ma vogliamo dimostrare che il cammino verso la riconciliazione è possibile”. Alle sue spalle garriscono
striscioni bianchi con la scritta trop c’est trop, pas de violence!; e quando il consueto è violenza, le grida di pace che si levano come da un coro in apnea sono un qualcosa di pressoché straordinario (…)

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