E a Brescia si muore ancora per l’inquinamento Caffaro – di Ilaria Morani foto di Francesca Volpi

Brescia è forse l’unica città al mondo dove la gente chiede la chiusura dei parchi pubblici e non la loro costruzione. L’unico posto dove si lotta contro la vendita di alimenti a “Km 0”, quelli delle cascine, naturali, biologici. Qui il termine “fatto in casa” è sinonimo di velenoso. Il latte è tossico e anche l’acqua. A Brescia ci si ammala di tumore molto di più rispetto al resto d’Italia. Lo hanno detto i medici. La colpa è della Fabbrica, la Caffaro. Diossine e Pcb, ma anche cromo esavalente che arriva dalle fabbriche della Val Trompia, nichel, arsenico che il mostro bresciano ha rilasciato con gli scarti di lavorazione nel suolo, poi nella falda acquifera, infine nel bicchiere di vetro delle case della zona sud della città.
Brescia la leonessa d’Italia, Brescia lavoratrice, Brescia orgogliosa delle sue fabbriche nate dopo la guerra quando “l’importante era lavorare, produrre, fare ripartire il Paese”, racconta Bruno, che elenca le battaglie sindacali combattute negli anni Settanta, come fossero medaglie all’onore appuntate sulla giacca. Brescia ora divisa in due. A nord quelli con il sangue pulito, a sud quelli che pisciano diossina e Pcb. A monte della Caffaro i fiori si possono raccogliere e l’erba accarezzare, a valle i petali sono profumati, ma non si possono toccare, niente capriole e nemmeno un pic nic al sole. (…)

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CAFFARO_IL MALE INVISIBILE

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