35 anni nella storia della Colombia: 1965-2000 – I “35 morti” di Sergio Alvarez

35 cover– di Maria Camilla Brunetti.

Ci sono voluti quasi dieci anni a Sergio Alvarez, scrittore colombiano classe ’65 – alla sua terza prova narrativa dopo La lectora e Mapanà – per portare a termine 35 morti, edito in Italia da La Nuova frontiera nella traduzione di Elisa Tramontin. Quasi 400 pagine per sondare la materia complessa, oscura, degli ultimi tre decenni di storia colombiana. Ha piglio picaresco, l’andare del protagonista, che rimane anonimo, così come il suo ricostruire per voci sovrapposte e dettagli di visione un arco di tempo che va dal 1965 – anno della sua nascita – fino al crinale del nuovo millennio, la notte dell’anno del 1999. Un caleidoscopio di caratteri trattati a brevi tocchi di sonorità tragiche, ombre veloci e violente – di un realismo crudo e senza retorica, che di magico non conserva neppure una eco – imprigionate tra cristalli in frantumi di un affresco corale che non riesce mai a trovare un suo effettivo compimento e, grazie a ciò, non perde di urgenza. Di moltitudini si muove 35 morti, volti di un destino che si vuole rendere collettivo, voci rubate alla storia di un popolo, frutto di lunghi anni di ricerche, viaggi, studi, interviste, riprese, peregrinazioni. Alvarez intervista i contadini colombiani trascorrendo molto tempo con loro nei villaggi della foresta, i guerriglieri, i narcotrafficanti, i vecchi militanti della lotta armata. I morti della storia colombiana sono impossibili da numerare, i 35 del titolo indicano la cifra delittuosa e corrotta degli anni che lo scrittore sceglie di trattare. Punta l’asticella molto in alto, il suo è un progetto ambizioso, per portata compositiva e per ideazione, ma il ritmo dell’antieroe colombiano riesce, nonostante tutto, a sostenere la mole dell’opera senza appesantirne la lettura. Orfano, come ogni picaro che si rispetti, attraversa in solitaria alcune delle pagine più sanguinarie della storia della Colombia. Non ancora adolescente si trova a vivere nelle comuni e nelle case occupate dai militanti del Moir, il movimento operaio indipendente e rivoluzionario colombiano fondato nel 1970 da Francisco Mosquera, dove sarà testimone del fallimento di una generazione vittima della desasparecion e costretta alla clandestinità. Sopravvive agli anni della repressione più dura imparando a conoscere il tradimento a opera dei fratelli, la delazione delle persone più vicine, la corruzione nel sorriso dei carnefici.

“Dopo la scomparsa di Memo, la lista dei compagni arrestati, torturati o fuggiti si allungò a dismisura. Cristinita chiamava qualche amica e le rispondevano che non viveva più in quella casa. Il Diablo chiamava un attore che conosceva per farsi prestare un libro e gli dicevano che nessuno sapeva niente di lui. Il Fantasma chiamava qualche militante del MOREI per chiedergli di un altro militante e la moglie riagganciava il telefono o si metteva a piangere. Con la scomparsa di così tante persone la vita si riempie di buchi, non hai più nessuno con cui parlare, nessuno da andare a trovare, nessuno da criticare e, alla fine, non hai solo paura, ma non sai più nemmeno chi sei”.

alvarezSi compone – disegnato da un ordito raffinato di voci – l’affresco senza concessioni di una Colombia delittuosa, paese di furti, ricatti, uccisioni di strada.

“Ormai non rubavamo solo per andare in giro vestiti bene e per sedurre le ragazze, ma diventammo i Pierre Cardin del Quiroga e vendevamo vestiti di marca a tutti i duri del quartiere. Facemmo dei colpi divertenti ed emozionanti, altri facili e noiosi, alcuni complicati, con fuga e inseguimento compresi. (…)

Il Cessna lo comprai da un narcos fallito e lo usavo per trasportare coca, prodotti chimici e dollari, per impressionare le ragazzette che volevo scoparmi e per nascondere i narcotrafficanti nella foresta quando l’atmosfera in città si surriscaldava. Quella sera, perpuro caso, avevo il Cessna in manutenzione a Bogotá e, mentre i meccanici lavoravano, dormivo a Prado Veraniego, in un appartamento un po’ squallido che avevo comprato a una neretta che mi piaceva”.

È una cifra cristallina, potente e violenta, quella di 35 morti, ed è vista da altezze multiple, da vicoli di popolo, da vecchie canzoni latine. Guidati da un anti Virgilio adolescente e scafato, la materia nella quale il lettore si trova a navigare e dalla quale deve trarsi in salvo è fatta dell’oscurità di una storia ingannevole. La sfida è ardua ma merita il tentativo.

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