In Macedonia dove la vita va più lentamente | testo e foto di Luciano Baccaro

Nonostante la globalizzazione, il Paese balcanico conserva ancora qualcosa di autentico, affascinante, diverso. Nei piccoli centri è facile trovare abitazioni con tetti di paglia e mura di fango, quasi tutte hanno un orto coltivato a tabacco, che è il settore più fiorente.

 

Molti confondono la Macedonia del Nord con la Grecia. Fino a poco tempo fa, la Macedonia del Nord si chiamava Repubblica di Macedonia ed era stata coinvolta, per lungo tempo, in una diatriba con il governo greco, che non voleva conservasse quel nome. Poi, nel giugno 2018, i due Paesi hanno raggiunto un accordo. Di qui, il parlamento macedone ha approvato una modifica costituzionale per adottare il nome di Macedonia del Nord, auspicando – contestualmente – l’entrata nell’Unione Europea. Gli abitanti sono circa due milioni e nel Paese coesistono diverse religioni e diverse etnie, macedoni, albanesi, bulgari, armeni e turchi, che convivono in maniera pacifica. In precedenza, il territorio macedone occupava la parte meridionale estrema della Jugoslavia. L’8 settembre 1991 si separò pacificamente dalla Jugoslavia, conservando i propri confini.

È a Skopje, la capitale, la città dalle mille statue, il centro politico, culturale ed economico del Paese, che inizia il mio reportage. Rasa al suolo nel 1963 da un fortissimo terremoto, la città è stata ricostruita gradualmente e nell’ultimo periodo ha avuto una cementificazione e urbanizzazione molto strana, a tratti bizzarra, con diversi stili architettonici che abbracciano l’Occidente e l’Oriente. In una serata uggiosa, mi ritrovo in un locale pieno di fumo che sembra nebbia e dove si ascolta una musica dalle molte influenze. (…)

 

ph. Una coppia di fidanzati in riva al fiume Vadar.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 41, acquistabile in versione cartacea e in digitale.

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