E adesso Berlino soffre di una forte crisi d’identità | di Alessandro Alviani foto di Flaviana Frascogna

Una ragazza e un ragazzo passeggiano trasognati in un cortile abbandonato. “Tutto questo è tipico di Berlino?”, chiede lei. “Nulla è tipico di Berlino”, sorride lui. Nulla, tranne gli stereotipi e i cliché sulla capitale tedesca, come quelli racchiusi in questa scena ripresa da un film a episodi (“Berlin, I love you”) con Keira Knightley e Mickey Rourke uscito in Germania ad agosto e accompagnato da pessime recensioni e numerose polemiche (si vocifera che l’episodio girato dall’artista cinese Ai Weiwei sia stato cancellato per non infastidire Pechino). Sullo schermo scorrono le immagini di una drag queen lungo il fiume Sprea, di un karaoke al Mauerpark, della Porta di Brandeburgo, della Colonna della Vittoria. Cartoline a uso e consumo anche del turista più sbadato. “Puoi mostrarmi il Muro di Berlino?”, domanda una musicista israeliana all’artista che la sta portando in giro per le strade di Kreuzberg. E lui, come se non avesse atteso altro: “Ci stiamo guidando sopra!”. Scene di un flop annunciato: cogliere l’identità di una città che ha fatto del perenne mutamento la sua unica costante è un’impresa destinata inevitabilmente a fallire: oggi, a trent’anni da quell’avventato “sofort, unverzüglich” (“immediatamente”) con cui il 9 novembre 1989 il funzionario tedesco-orientale Günter Schabowski diede la prima, involontaria picconata al Muro, forse più che in passato. Perché fino a qualche anno fa trovare una risposta all’eterna domanda su come si potesse definire il nuovo spirito di Berlino sembrava più semplice. (…)

 

 

ph. Un gruppo di giovani nel quartiere Friedrichshain, nella zona est della città e uno dei punti in cui è ancora in piedi un tratto di Muro.

 

L’articolo completo è pubblicato su Reportage n. 40 acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale

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