Londra, nei palazzi popolari dove convivono razzismo e orgoglio sottoproletario – di Marco Sconocchia

Quand’ero giovane io la situazione era diversa. Eravamo una famiglia, noi ragazzini giocavano insieme senza problemi e ci conoscevamo tutti. Ora arrivano questi qui – dice indicando un bambino arabo – si fermano un anno o due e poi… avanti gli altri; noi siamo qui da quando siamo nati, a parte qualche gita.

Loro non lavorano e lo Stato gli dà tutto, mentre noi dobbiamo faticarci ogni giornata”. Tom, tu cosa fai per vivere?, gli chiedo. “Io faccio il lottatore. Hai presente quelli nella gabbia? Steven, passami questo cazzo di cellulare, ché gli devo far vedere il video dell’ultimo incontro”.

È eccitato, mentre guarda lo schermo mima i colpi inferti al suo avversario, che non sembra passarsela molto bene. Per un momento mi sembra di essere nel film Bronson, dove il protagonista, appena uscito di prigione, si dà ai combattimenti clandestini. Sarà l’effetto della terza pinta, ma glielo faccio presente. Ride: “Anch’io sono stato in prigione, sai? Sette anni. Ho avuto anch’io il mio posto al sole, ma ora sono tornato da mia madre. Anche voi in Italia avete delle shithole come queste?”, mi domanda, alludendo alle case popolari.”  (…)

 

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage n°34, acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale

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