Oggi i supereroi dei fumetti sono africani – di Daniele Bellocchio

Gli anni Trenta stanno terminando, la grande depressione è alle spalle e il patriottismo a stelle e strisce, che dopo l’attacco di Pearl Harbour spingerà gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, sta forgiando nella società tutti i simulacri di quella che è l’iconica rappresentazione del sogno americano. È in questi anni che negli Usa nascono i primi supereroi. Il mito giustizialista del bene contro il male prende vita anche attraverso vignette e ballons e nelle edicole di New York, così come a Washington e Chicago, oltre ai quotidiani che parlano di una guerra tanto lontana quanto imminente, iniziano a comparire anche Superman, Mandrake e l’Uomo Mascherato. L’eroe non è solo evasione e divertimento per i più piccoli, la bonomia di cui è ammantato il “giustiziere” ha una chiave di lettura più profonda, plasmata nei valori di una politica americana che sarà ancora più visibile e marmorea una volta che gli States saranno scesi in campo nel secondo conflitto mondiale.

Arriva infatti la guerra e con essa la vittoria; e l’American dream entra sempre più prepotente nella cultura e nell’aspettativa occidentale. Marlboro e Life, John Wayne e Coca Cola. Ma anche i comics: Batman, Daredevil e Thor e l’esplicito Capitan America. Eccoli su carta, con volti mascherati a combattere con prepotenza il male e qualsiasi ”cattivo” che abbia valori e idee che minano alla nazione e alla famiglia. Sono invincibili e trovano nelle simbologie del comunismo e del nazismo il nemico contro cui lottare. Sono passati gli anni e la guerra fredda ha avuto un inizio e una fine: i vendicatori hanno vissuto tutte le decadi del secolo breve, adattandosi ai tempi e ai cambiamenti, finendo però – oggi – anche loro imbolsiti nelle proprie tute ormai sbiadite, sdoganati nel grande cinema e orfani di un bene e di un male in cui intromettersi. L’Uomo ragno è morto e, all’ombra della Statua della Libertà, il mantello e la maschera sono avvolti nell’amarcord. Ma se in America il fumetto è il passato, in Africa è invece l’avvenire. E a supereroi e graphic novelist è affidato ora il compito di disegnare il continente africano e rivendicarne attenzione, interesse e identità.

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Si chiama
Comic Republic una serie a fumetti nata in Nigeria, a Lagos, e gli eroi che la stampa e i lettori hanno ribattezzato i ”vendicatori africani” sono protagonisti che, come i più celebri miti di china americani, hanno superpoteri e avversari da sconfiggere. A differenziarli da quelli americani è il fatto che lottano per il bene dell’Africa e che la propria forza e le proprie peculiarità derivano dalle tradizioni e dal credo autoctono della Nigeria. Tra le star del fumetto di Lagos c’è Hilda Avonomemi Moses, una donna di un villaggio dello stato di Edo, nel sud della Nigeria, che ha il potere di parlare e vedere gli spiriti, poi c’è Guardian Prime che ricorda, anche nel suo abbigliamento, il più famoso Capitan American ma, anziché essere avvolto nella ”stars and stripes”, indossa il verde e il bianco della bandiera nigeriana. Poi c’è Bidemi Ogunde, un’archeologa che lavora all’Università di Ibadan, e Ireti, la principessa del regno Yoruba. Sono nove in totale gli eroi di Comic Republic, la casa editrice nata come start up nel 2013 e che, in soli due anni, è passata da poche centinaia di lettori a più di 25mila. Non trattano solo episodi di fantasia: gli eroi nigeriani sono anche protagonisti di campagne riguardanti la lotta contro la malaria e altri drammi del continente. A raccontare la storia e il progetto del fumetto ”nero” è stato Jide Martin, fondatore e ideatore dei supereroi d’Africa che in un’intervista al Guardian ha spiegato: “C’è stato un vuoto morale nella generazione attuale, una generale mancanza di icone. La gente ha smesso di credere nelle istituzioni di un tempo. Per colmare questa lacuna, sono tornato alla mia infanzia e mi sono ricordato di quando dovevo prendere delle decisioni e mi domandavo che cosa Superman o Batman avrebbero fatto. Ho deciso così di usare lo stesso mezzo per dare a questa e alla generazione successiva qualcosa in cui credere”. Poi, entrando nel merito del supereroe africano, Martin ha aggiunto: “No, non penso che l’Africa e gli africani siano ben rappresentati nei fumetti occidentali tradizionali. Questo è il motivo per cui siamo qui: per darci un posto in questo genere e mostrare al mondo ciò che gli africani sono capaci di fare”.

Ma ci sono anche i nuovi territori del fumetto. È la graphic novel la nuova frontiera della china. I reportage di Joe Sacco dalla Palestina e il racconto di Zero Calcare da Kobane sono solo alcune delle opere che hanno fatto incontrare il reportage e le nuvole e che hanno permesso a una nuova forma d’arte di coniugarsi con l’informazione: raccontare il presente dipingendone luci e ombre. Così il giornalismo si è sposato con il disegno, dando vita a una nuova forma di racconto fondata sulle notizie, catalizzatrice di una pluralità di lettori. L’Africa non è rimasta a guardare.

Una colonna di profughi in fuga, le raffiche di kalashnikov che echeggiano nell’aria, un’ onomatopeica esplosione che anticipa l’arrivo di un pick up con a bordo i guerriglieri della Seleka. Momenti di tensione e poi il dramma dello scontro a fuoco. Morti, feriti e urla che, sebbene racchiuse nelle vignette, assordano per il loro realismo. La guerra in Repubblica Centrafricana, scoppiata nel 2012 e che ancor oggi prosegue nel piccolo stato del continente africano, rivive e recita l’orrore del conflitto tra ribelli musulmani e cristiani nelle pagine di Didier Kassaï, fumettista centrafricano che ha realizzato il libro Tempête sur Bangui, edito in Francia e divenuto un caso editoriale per il successo conseguito.

Pagina dopo pagina la graphic novel mette a nudo una delle più crudeli guerre contemporanee dell’Africa. La storia scivola di vignetta in vignetta, entra nell’intimo e trasporta lungo le rive dell’Oubangui. Il fumetto racconta un dramma; il libro, però, ha un’ultima pagina e una parola fine, che tuttavia in Centrafrica è ancora difficile da intravedere. È lo stesso Didier Kasai a pronunciarsi così in merito alla guerra e al suo mestiere: “La guerra ha diviso il nostro popolo, ci ha messi gli uni contro gli altri e ci ha fatto dimenticare di quando nel mio Paese si viveva insieme senza divisioni etniche e confessionali. Occorre ritornare ad essere uniti e per farlo occorre informare. Come? Anche con un fumetto, perché l’informazione deve essere molteplice. Anche con un disegno e dei colori si può contribuire a dare speranza laddove tutto appare in bianco e nero”.

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