Mille frustate per la libertà – di Ilaria Romano

“Per un pensatore la libertà d’opinione è come l’aria di cui ha bisogno per respirare, come l’ossigeno senza il quale le sue idee non si possono accendere… se sei un essere umano hai tutto il diritto di esprimerti e di pensarla come ti pare. Hai il diritto di dire ciò che pensi, di credere o non credere, di amare o di odiare, di aderire al liberalismo o all’islamismo… La mia grande preoccupazione è che prima o poi tutte le migliori menti del mondo arabo emigreranno in cerca di aria pura, da qualche altra parte, purché a debita distanza dalle lame dell’autoritarismo religioso”.

Queste parole sono state pubblicate on line il 12 agosto del 2010 da Raif Badawi, attivista saudita, classe 1984, che la libertà di opinione la sta pagando a caro prezzo: nel 2012 è stato arrestato con l’accusa di aver offeso l’islam attraverso il suo web forum, “i liberali sauditi”. Dopo aver rischiato anche la pena capitale per il reato aggiuntivo di apostasia, nel 2014 è stato condannato a 10 anni di carcere, una multa da un milione di rial, circa 240 mila euro, e mille frustate. Il 6 giugno scorso la Corte Suprema dell’Arabia Saudita ha confermato la condanna, senza che il detenuto abbia avuto la possibilità di presentare appello, visto che anche il suo avvocato nel frattempo è finito in prigione. Le prime cinquanta frustate sono state inflitte a Raif il 9 gennaio, e da allora, ogni venerdì, potrebbe accadere di nuovo.

I suoi ultimi interventi sul blog sono dunque del 2012, un momento cruciale per molti paesi del mondo arabo, che ha riattualizzato il dibattito sul ruolo dello Stato e della religione. Nel frattempo gli stravolgimenti sono stati immani. Paesi come Siria e Iraq, ma anche Libia e Yemen, sono in via di dissoluzione, ed altri come l’Arabia Saudita di Badawi si trovano a fare i conti con un contrasto sempre più forte, fra modernità e conservatorismo; con un sistema misto di concessioni economiche e repressione che ha consentito alla famiglia reale di restare al potere, oltre che di tenere a bada anche le proteste del vicino Bahrein.

Cover ChiarelettereOggi 14 dei suoi scritti sono diventati un libro, 1000 frustate per la libertà, pubblicato in Italia da Chiarelettere e curato dal giornalista tedesco Costantin Schreiber, con i contributi di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, Farian Sabahi, giornalista iraniana ed Ensaf Haidar, moglie di Badawi che ha dovuto lasciare il suo paese e ora vive in Canada con i tre figli. “Con profondo rincrescimento sono costretta a dire che la durissima e inumana sentenza contro Raif – scrive Ensaf – è un monito nei confronti di tutti coloro che osano sfidare l’estremismo religioso in Arabia Saudita. Siamo piombati nell’inferno di una tortura insopportabile”.

Badawi parla dell’Arabia Saudita, delle problematiche legate alla società, alle disparità fra uomo e donna, alle imposizioni che arrivano dall’alto, che toccano tutti i campi della vita, e che portano i giovani a voler fuggire dalla teocrazia, con un conseguente impoverimento culturale. Ma guarda anche oltre il suo Paese, al mondo arabo, ai mutamenti in corso e alle prospettive per i popoli. Crede profondamente nel liberalismo e diritto di espressione e di critica, e in alcuni passaggi manifesta quasi un senso profetico nel descrivere quello che sarà lo scenario che si va a delineare dopo il suo arresto.

In “Sognando il Califfato”, pubblicato il 18 febbraio 2012, denuncia come sia iniziata una sistematica mobilitazione di massa che mira a indottrinare la gente comune, inondandola senza sosta di religione e religiosità… Affilano le armi, aizzano gli spiriti, annunciano a gran voce una guerra di sterminio contro tutto ciò che ha in qualche modo a che fare con la cultura e l’illuminismo, che per loro sono sinonimo di eresia, ateismo e blasfemia”. L’errore che rileva Badawi è che spesso l’idea di liberalismo sia contrapposta a quella di religione, come se la escludesse, mentre è il principio di una società libera, e dunque anche di una coesistenza di idee: “Il liberalismo offre tutto ciò che garantisce l’esistenza delle libertà individuali. E assicura la libertà di professare la propria fede. Non impone alla società un qualche modello spirituale, attraverso una forma di tutela o tirannia. E questo è un arricchimento, non una privazione o un compromesso”.

Una sezione della raccolta è dedicata al rapporto tra uomini e donne, tema sul quale Raif Badawi è intervenuto più volte. Con un esempio familiare, quello della nonna che lavorava nei campi al fianco del marito e prendeva con lui tutte le decisioni, affronta la questione dell’occupazione femminile, e della mescolanza sul luogo di lavoro, accettata nelle grandi aziende e nei quartieri benestanti, osteggiata nelle zone povere dove le donne non possono di fatto trovare un impiego, nonostante manchi una legge di divieto in materia. Anche nel campo dello studio e della ricerca all’estero, una donna ha diritto a spostarsi solo con un accompagnatore, quindi deve dimostrare di non trovarsi da sola. Nel 2011 Badawi racconta che il ministero dell’Istruzione ha chiesto alle studentesse saudite presenti in Gran Bretagna di provare la presenza di un tutore maschile. Col rischio che molte di loro interrompano gli studi e si vedano costrette a fare ritorno a casa.

In fatto di nozze, racconta di come spesso le leggi vengano aggirate con riti di comodo, nel suo paese, come il cosiddetto matrimonio per visita: “Sul piano legale questo matrimonio assume la forma di un accordo reciproco tra un uomo e una donna in presenza di testimoni, davanti ai quali lei si dichiara disposta a rinunciare a tutti i diritti materiali che di solito spettano a una moglie, come l’alloggio e il mantenimento di eventuali figli nati dal matrimonio. In sostanza si accontenta semplicemente che l’uomo le faccia visita ogni tanto: si, tutto qui… benedetto ufficialmente e al di là di qualsiasi dubbio sia dalla religione sia dalla legge”.

A un anno dall’inizio della rivoluzione siriana, Badawi scrive di quanto stia accadendo in un Paese dove “la primavera ha mosso i primi passi nel 1980 per esplodere nel 2011 avviando una delle rivoluzioni più sanguinose, che ha mostrato i diversi volti dell’opposizione, dei suoi protagonisti”. Lo fa sempre attraverso spunti originali, come in questo caso, partendo dal romanzo del siriano Al Muthannà al-Shaykh ‘Atiyya, La Signora del regno, storia di un amore impossibile sullo sfondo di un esilio politico. Un racconto che richiama l’attualità nei luoghi, negli episodi narrati di prigionia, delitti di regime e guerra.

Una mente brillante, quella di Raif, che riesce a sopportare il carcere senza perdere la speranza, ma con il coraggio che lo ha spinto ad esporsi in prima persona con i suoi testi, sapendo a cosa sarebbe andato incontro. Nell’introduzione alla raccolta narra proprio questo passaggio: dalla ricerca di una sua strada per contribuire alla diffusione del pluralismo, alla vita in cella: “Fino a quel giorno avevo l’abitudine, che probabilmente condividevo con molti altri, di controllare una volta ancora, prima di coricarmi, che tutte le finestre di casa fossero ben chiuse per timore dei criminali. Ora invece vivo tra quegli stessi criminali…dopo un po’ di tempo ho capito che anche i criminali…ridono, amano, soffrono e a volte hanno una sensibilità talmente raffinata e grande che mi addolora parecchio se la confronto con quella delle persone che un tempo mi erano amiche…un giorno, mentre scorrevo le centinaia di scritte incise sulle pareti sudice della toilette della cella comune, una frase mi è balzata agli occhi: “la soluzione è il laicismo”. Il fatto che abbia potuto leggere un pensiero del genere significa che da qualche parte, in questa prigione, c’è almeno una persona in grado di capirmi. Di comprendere ciò per cui ho lottato, il motivo per cui mi trovo rinchiuso qui”.

 

 

 

 

 

 

 

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