Russia o Europa, il dilemma ucraino – di Lorenzo Pompeo

Il precipitoso viaggio del presidente Janukovyc a Mosca di qualche giorno fa sembra chiudere ogni possibilità a un ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea. La delusione e la stanchezza serpeggiano tra i manifestanti che da giorni hanno occupato la piazza principale di Kiev per esprimere il loro dissenso nei confronti della decisione del premier di interrompere i negoziati per l’adesione del Paese all’Unione Europea. Putin ha promesso al suo omologo un investimento di 15 miliardi di euro in titoli di stato ucraini, che potrà dare una boccata d’ossigeno a un bilancio statale disastrato, e un forte sconto sulla fornitura del gas (come già ho ricordato in un precedente articolo – www.ilreportage.eu/2013/01/ucraina-lo-strano-caso-di-julia-tymoshenko – grazie a un accordo firmato dall’allora premier  Julia Tymoshenko il gas russo viene venduto agli ucraini al prezzo più alto rispetto a tutti gli altri paesi europei).

Mentre gli Stati Uniti hanno giudicato inaccettabile la repressione di piazza della polizia ucraina dato che “queste manifestazioni sono pacifiche e non certo un colpo di Stato”, Putin ha definito “strategica” l’alleanza con l’Ucraina e, coerente con questa affermazione, si è impegnato personalmente a reperire i 15 miliardi promessi (verranno prelevati dal Fondo nazionale per il welfare, uno dei due fondi sovrani russi costruiti negli anni con i guadagni del petrolio per garantire la stabilità dei conti dello Stato e il futuro delle pensioni, per proteggerle nelle fasi di calo dei prezzi dell’energia). Tuttavia anche in Russia c’è chi fa notare che “l’alleato” ucraino in futuro potrebbe nuovamente voltare le spalle a Mosca (era stato proprio Janukovyc ad avviare i negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’unione doganale con la Ue). Tutto questo in un momento in cui, anche a seguito delle forti spese legate all’organizzazione dei giochi olimpici invernali a Sochi, i conti dello stato russo non sono affatto floridi.

Si tratta, in sostanza, di una decisione che il presidente russo ha potuto assumere grazie ai poteri pressoché assoluti di cui dispone, ma che potrebbe presto o tardi rivelarsi un pessimo investimento. Il suo omologo ucraino, invece, in questo modo ha potuto evitare di bussare alla porta del Fondo monetario internazionale, che avrebbero imposto al Paese riforme-shock  per concedere il prestito. Non è però difficile prevedere che, in mancanza di riforme, la scarsa competitività dell’economia ucraina (in buona parte è sostenuta dalle rimesse degli emigranti) riporterà il Paese al punto di partenza entro un paio di anni (giusto il tempo necessario per arrivare alla prossime elezioni presidenziali). Sembra, in sostanza, di rileggere negli eventi di questi giorni le pagine della storia ucraina: l’accordo di Perejaslav, che nel 1654 sancì l’inizio del protettorato moscovita sull’effimero stato che i cosacchi avevano creato dopo la rivolta contro la Rzeczpospolita polacco-lituana, il “tradimento” di Mazepa, che si alleò con il re svedese Carlo XII contro Pietro I nella battaglia, persa, a Poltava nel 1709.

Anche se le ambizioni europeiste degli ucraini hanno subìto un colpo durissimo, le manifestazioni di questi giorni per un ingresso nell’Unione europea – mentre nelle piazze europee si manifesta viceversa per uscirne – hanno dimostrato che l’opposizione è radicata nella società civile e che quest’ultima è in grado di mobilitarsi quando vengono toccate questioni vitali per il futuro del Paese. Esiste, evidentemente, un problema di leadership. Uno dei più influenti leader di queste manifestazioni è stato l’ex-pugile (sembra abbia intenzione di appendere i guantoni al chiodo) Vitali Klitschko, ma da oratore nelle manifestazioni di piazza a futuro presidente la strada potrebbe essere lunga e piena di ostacoli. Così come per Arsenij Jaceniuk, il candidato liberale alle elezioni del 2010, che ha partecipato alle manifestazioni di questi giorni, ma che non sembra godere di quella popolarità necessaria per sbarrare il passo al presidente in carica. I fatti di questi giorni, d’altronde, dimostrano ancora una volta che l’ombra sulla sovranità ucraina è la sua dipendenza dalle forniture di gas dal monopolista russo Gazprom. “Essere o non essere?”, così – con Amleto – possiamo sintetizzare il dilemma ucraino. Non a caso, per due secoli, l’Ucraina è stata chiamata “Piccola Russia”.

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