Ucraina, lo “strano caso” di Julia Tymoshenko – di Lorenzo Pompeo

 

Colpevole dei peggiori crimini o vittima di una congiura politica? L’ex premier ucraina e protagonista della “rivoluzione arancione” del 2004, Julia Tymoshenko, che già sta scontando sette anni di carcere per abuso di potere, ora rischia l’ergastolo. La procura generale di Kiev l’ha infatti incriminata per il duplice omicidio, avvenuto nel 1996, del parlamentare Yevhen Shcherban, leader del Partito liberale ucraino, e di sua moglie. L’accusa si basa su alcuni documenti forniti dal figlio della vittima con i quali si dimostrerebbe che i mandanti del delitto sarebbero stati, appunto, l’ex premier e Pavlo Lazarenko (già condannato e detenuto negli Stati Uniti per riciclaggio di denaro sporco e altri reati), all’epoca soci nella Jedyny Energosistemy Ukrajiny, la società energetica che aveva il monopolio nel commercio del gas russo. L’omicidio, infatti, sarebbe legato alle lotte tra i clan per il controllo di questo redditizio monopolio. Secondo i magistrati, Tymoshenko e Lazarenko avrebbero pagato i killer 2,8 milioni di dollari (Tymoshenko 2,3 milioni, Lazarenko 500 mila). Dal carcere, la donna respinge fermamente le accuse e si dichiara perseguitata per motivi politici dall’attuale presidente ucraino Viktor Janukovich.

timoshenkoL’11 ottobre del 2011 Julia Tymoshenko – prima donna premier in Ucraina – era stata condannata a sette anni in relazione all’accordo firmato nel gennaio 2009 tra la compagnia energetica nazionale ucraina Naftohaz e l’omologa russa Gazprom per la fornitura di gas all’Ucraina. Secondo l’accusa, la Tymoshenko avrebbe condotto in prima persona le trattative che avrebbero dato luogo a un accordo vistosamente svantaggioso per la parte ucraina. L’accordo decennale firmato dalla Naftohaz e dalla Gazprom prevedeva e prevede (perché è ancora vigente) un prezzo per la fornitura del gas da parte del consorzio russo a un prezzo assolutamente svantaggioso (450 dollari per 1.000 metri cubi), pari a quasi il doppio di quanto paga la Germania per la fornitura del gas attraverso il gasdotto che passa per l’Ucraina (250 dollari per 1.000 metri cubi). Sebbene l’accordo abbia sancito la fine della cosiddetta “guerra del gas” tra Russia e Ucraina e sia stato dunque accolto con sollievo da tutti i paesi europei che si rifornivano di gas russo con il gasdotto che attraversa il territorio ucraino, l’ex-presidente ucraino Viktor Jushchenko ha più volte denunciato che il prezzo della fornitura concordato nel 2009 non era e non è sostenibile da parte degli ucraini, perché compromette non solo l’economia, ma anche la sovranità dell’intero Paese.

Nei mesi successivi alla condanna della Tymoshenko sono stati numerosi gli appelli da parte di alcuni leader europei per la scarcerazione dell’ex-premier. L’opinione pubblica e i giornali, che in questi anni hanno seguito la vicenda, hanno spesso fatto ricorso a una semplificazione: il premier in carica, Viktor Janukovych, filorusso, avrebbe utilizzato il processo e la condanna dell’ex-premier, nonché avversaria nel ballottaggio per le elezioni presidenziali del gennaio-febbraio 2010, per mettere a tacere l’opposizione filoccidentale. Pochi, però, tra i commentatori internazionali, hanno compreso pienamente il significato alla base della controversa decisione dei giudici. Il gas è una questione cruciale per l’Ucraina, che dipende quasi interamente dalla fornitura russa. Nei primi giorni del 2009 il blocco delle forniture da parte di Gazprom, nel periodo più caldo della cosidetta “guerra del gas”, mise in ginocchio l’intero comparto industriale dell’Ucraina.

La Tymoshenko conosceva bene questo argomento, essendo stata la direttrice tra il 1995 e il 1997 di una delle maggiori aziende energetiche private che importava gas dalla Russia (i suoi primi rapporti con Gazprom risalgono a quegli anni, quando la Tymoshenko riuscì a costruire una cospicua fortuna personale). L’accordo tra Gazprom e Naftohaz, d’altronde, precedeva di un anno le elezioni presidenziali. Quando fu firmato, il prestigio di Viktor Jushchenko era già appannato e la sua rielezione appariva improbabile. Le ambizioni presidenziali della donna erano piuttosto evidenti e la chiusura della partita con i partner russi avrebbe dovuto favorire la sua ascesa verso la presidenza. I suoi calcoli si sono rivelati sbagliati: nel febbraio 2010, dopo essere arrivata seconda al primo turno, non fu lei, ma il suo “nemico” Janukovic a vincere il ballottaggio per la presidenza del Paese. Poi, come detto, l’anno successivo, nell’agosto, l’ex premier venne arrestata e, due mesi dopo, condannata. Ora il possibile ergastolo.

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