“Il fotogiornalismo non morirà mai” – Intervista a Aidan Sullivan, vicepresidente di Getty Images

di Mauro Guglielminotti

“Reportage” intervista Aidan Sullivan, vicepresidente di Getty Images, sui cambiamenti, gli sviluppi e i rischi del fotogiornalismo contemporaneo e, soprattutto, sulla campagna Adwn (A day without news) di Getty Images.

Mr. Sullivan, ci può parlare dello spirito della campagna “A day without news” e raccontarci, a otto mesi dal lancio, quali sono i risultati, che cosa ci dobbiamo ancora aspettare, e che cosa ogni persona può fare per spingere nella giusta direzione?

Fin dall’inizio, l’ intenzione era quella di integrare il lavoro già svolto da organizzazioni come il Committee to protect journalists (Cpj) e Reporter senza frontiere (Rsf), puntando a dare alla questione maggior voce. La nostra è una missione ben precisa, la loro è molto più ampia. Cpj è una grande organizzazione, ben finanziata e supportata. Invece per quanto riguarda la nostra iniziativa abbiamo deciso di mantenerla assolutamente specifica, e credo che Cpj e Rsf lo apprezzino. Ciò di cui la nostra campagna dispone è la ricchezza di sostenitori attraverso stampa, tv, social media tradizionali, tanti sono i nostri amici che sentono il bisogno di mostrare il sostegno per amici e colleghi: abbiamo costruito una grande rete, grazie anche al lavoro delle  pubbliche relazioni  di Getty Images. Così, quando abbiamo lanciato l’iniziativa in occasione della ricorrenza della morte di Marie e Remi, il primo obiettivo è stato raggiunto in toto: abbiamo raggiunto un pubblico di oltre 121 milioni di persone tramite Bbc World News, Cnn, e attraverso il sito web. I social media hanno giocato un ruolo cruciale e siamo stati in grado di usarli con grande efficacia, abbiamo avuto tweet dal Primo ministro del Regno Unito, dalla Casa Bianca e dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, che ha anche registrato un video speciale a nostro sostegno, tuttora visibile sul sito.

Anche il secondo obiettivo è stato raggiunto, almeno in parte, il 17 luglio, quando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha convocato una sessione sul tema. Questo è stato il diretto risultato dell’azione di lobbying ideata da sir Daniel Bethlehem, un esperto mondiale di diritto internazionale  per ottenere un dibattito intorno alla protezione dei giornalisti, in particolare sulla risoluzione 1738, che condanna gli attacchi ai giornalisti , approvata all’unanimità nel 2006. Abbiamo sostenuto che, anche se ci sono molti punti importanti all’interno della risoluzione, le cose sono cambiate ed i pericoli affrontati dai giornalisti sono aumentati esponenzialmente. Abbiamo quindi proposto di rivisitare Risoluzione 1738.

Aidan SullivanL’ ultima ambizione è di ottenere che i danni ai giornalisti siano classificati come crimini di guerra, un’ambizione che “A day without news?” spera di promuovere col fatto che il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Samantha Power, era lei stessa un giornalista che ha coperto la guerra nei Balcani nel 1990. Se riusciamo a realizzare tutto ciò compiremo un enorme passo verso il terzo e più impegnativo degli obiettivi della campagna, l’individuazione e il perseguimento dei responsabili degli attacchi contro i giornalisti .

I crimini di guerra sono enormemente difficili da perseguire, ma può essere fatto. Credo che ad ogni sforzo corrisponda un risultato. Se non c’è punizione e le persone non vengono perseguite per omicidio – perché questo è un omicidio – allora saranno gli esecutori ad avere la meglio. Per questo vorremmo collaborare con uno dei più grandi studi legali di New York e un’Università americana con corsi di diritto e giornalismo , al fine di proseguire le indagini sui casi, come ad esempio le morti di Marie e Remi. Sarebbe bello avere persone che ci sostengono con la firma al sito e seguendoci su Twitter: questo è molto importante, perché accresce il nostro seguito e l’importanza della campagna.

Getty è uno degli attori di maggior rilievo del fotogiornalismo e del reportage a livello internazionale, grazie alla sua creazione nel 2009: qual è il suo pensiero sullo stato del giornalismo visivo oggi?

La nostra industria è in fase di transizione: sono in atto molti cambiamenti che continueranno ulteriormente. Abbiamo visto titoli di media tradizionali scomparire o essere in difficoltà. Tuttavia, il nostro settore è pieno di persone brillanti, saprà adattarsi e sopravvivere come fanno i fotogiornalisti. Siamo narratori in tutti i sensi, a livello visivo, parlato e scritto, e il mondo avrà sempre voglia di sentire e vedere le nostre storie. Dobbiamo solo adattarci a un modo diverso di distribuirle e di garantire i guadagni che ci permetteranno di crearle.

Molti professionisti stanno combattendo per riuscire a continuare a fare il loro lavoro, dovendosi rapportare con giornali che pagano sempre meno – di giorno in giorno – e soprattutto posti a cospetto del fatto che le “nuove tecnologie” stanno dando la possibilità a tutti di “documentare” cosa succede nel mondo senza bisogno di essere professionisti. Come sta cambiando il fotogiornalismo con le nuove tecnologie?

Il fotogiornalismo non morirà, sarebbe come dire che la storia finirà… Ci sono sempre stati modi per raccontare: dai disegni rupestri al caricamento istantaneo di notizie fotografiche. Siamo appena passati dalla stampa ai media digitali, un cambiamento cruciale come quando i primi giornali sono stati stampati nel 17° secolo e messi a disposizione di migliaia di persone – e prima del primo giornale, i Romani pubblicavano gli Acta Diurna (atti quotidiani) circa nel 59 aC, scolpendo metallo o pietra e scrivendo in luoghi pubblici. L’ appetito per la notizia rimane, il nostro modo di diffonderla è cambiato per sempre. In peggio? Forse no. Si consideri che nell’età dell’oro del fotogiornalismo importanti riviste avrebbero regolarmente dedicato 10 o forse anche 20 pagine ad uno speciale, in modo esclusivo, ma oggi solo pochi, come il National Geographic, lavorano in questa maniera. Con i media digitali adesso un fotografo può aspettarsi di vedere molte pagine delle proprie immagini proposte come diapositive o presentazioni multimediali.Si  tratta di contenuti con molti livelli che permettono al fotografo di esprimere il proprio lavoro anche attraverso audio e video che possono ora essere realizzati a costi nettamente inferiori rispetto ad alcuni anni fa. Tutta una nuova generazione di fotografi sta affinando queste competenze e crea progetti nuovi e molto interessanti.

Il problema è come fare in termini di pagamento. Il nostro settore è andato in panico con l’arrivo di internet, lo stesso è successo all’industria della musica quando Napster e altri cominciarono a mettere a disposizione i file del loro contenuto. La nostra reazione istintiva ci perseguiterà per molto tempo ancora, abbiamo fornito i nostri contenuti ma dobbiamo trovare un modo per far capire che occorre pagarli in quanto sono contenuti di qualità affidabili come informazioni veramente attendibili. Non si tratta delle opinioni di un individuo con un parere e uno smartphone, o peggio di un’organizzazione che utilizza i social media per inviare messaggi falsi.

Stiamo provando vari metodi come appositi abbonamenti e anche firewall. Senza l’ingegno, la dedizione e la determinazione di giornalisti e fotoreporter di tutto il mondo, vivremmo in un mondo di celebrità e di pr. Sono ottimista e credo molto nella nostra professione, quindi sono fiducioso che troveremo un modo per continuare a fare quello che facciamo e per continuare a far luce sulle zone più oscure del nostro mondo in modo che l’informazione continui.

Ritiene che ci si stia muovendo verso un mondo in cui si sarà una piccola percentuale di fotografi realmente di alto livello che copriranno i grandi eventi e per il resto saranno cittadini comuni, con smartphone e simili, a fornire immagini alla stampa pressoché gratuitamente?

Il nostro è un settore in rapida evoluzione e cambiamento e nessuno può realmente prevedere il suo futuro. Certo è che ci sarà ancora un gruppo di uomini e donne che continueranno a dedicarsi alla ricerca della verità attraverso il saggio fotografico. I dispositivi utilizzati per catturare queste storie e il modo in cui ci arriveranno cambiano di giorno in giorno, ma il pubblico ora è sempre più vasto, e il potenziale è enorme. Esistono cittadini giornalisti e possono svolgere un ruolo nel portarci la notizia, ma l’autenticità e la credibilità del materiale possono essere discutibili e non saranno davvero mai in grado di sostituire il giornalismo legittimo e verificato.

Stiamo assistendo alla chiusura di molte agenzie fotografiche di piccole o medie dimensioni: pensa che solo poche grandi agenzie, quali per esempio Getty, riusciranno a sopravvivere in futuro?

Ci sarà sempre bisogno di raccontare storie e sempre persone che vorranno raccontare la loro. Non sarà la dimensione dell’azienda a determinarne la sopravvivenza, ma l’agilità con cui l’azienda saprà muoversi attraverso il panorama mediatico in continua evoluzione.

Cosa consiglierebbe a un giovane fotografo che voglia avvicinarsi al fotogiornalismo?

Essere appassionato, leggere ogni libro, studiare ogni maestro della fotografia, comprendere il ‘linguaggio’ prima di cercare di creare qualcosa che si spera sarà un biglietto per il successo. Pensare in grande, non aspettare che le cose caschino addosso, cercare un nuovo approccio e una nuova storia che non è stata ancora raccontata, o una trama esistente da raccontare in un modo nuovo e fresco. Credere in ciò che si fa e amarlo.

Lei ha fatto parte della giuria di alcuni tra i più importanti premi di fotogiornalismo: qual è la sua prima considerazione quando vede un lavoro fotografico, la capacità tecnica o “lo scoop”? Cosa pensa i giornali si aspettino dai fotoreporter, fotografie come quelle che vincono nei premi o no?

Quando guardo le immagini, sia nel corso di un premio da giudicare o sfogliando una rivista, o su uno schermo, devo avere una reazione emotiva. Qualcosa che fa clic, che risuona. Il ‘significato’ dell’arte, dopo tutto, è negli occhi di chi guarda. Questa è la prima cosa che si verifica, se non succede, cerco di capire qualcosa in più dell’immagine, guardando più in profondità al significato, a come è stato prodotta e perché, considerando anche gli aspetti tecnici dell’operazione. Viviamo in un mondo con un appetito insaziabile per suoni e immagini che lampeggiano su uno schermo per un millesimo di secondo, con un contenuto che mira a catturare l’attenzione del consumatore. Questo fa sì che un’immagine  notevole risalti ancora di più, e ci sono per fortuna ancora piattaforme e pubblicazioni che permettono questo. I premi sono importanti, agiscono come una ‘pacca sulla spalla’ per coloro che hanno prodotto le immagini, spesso in circostanze molto difficili, e mettono in luce le immagini che si distinguono dalla massa.

 

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