“Il blog del Direttore” – Monti si è tolto il loden – di Riccardo De Gennaro

Costretto, suo malgrado, a fare campagna elettorale dopo la sua “salita in politica”, Mario Monti, leader della lista “Scelta civica. Con Monti per l’Italia”, nelle sue prime apparizioni televisive non da premier, ha gettato la maschera del “tecnico”. Il suo vero volto è quello di un conservatore che ama il paradosso di definirsi “progressista”, che dichiara la scomparsa della destra e della sinistra (con questo confermandosi di destra), che chiede a chi l’ha sostenuto in Parlamento di tagliare le “ali estreme” e, forse consigliato da Piero Ichino, transfuga dal Pd, di “silenziare” chi sostanzialmente non aderisce al pensiero della troika economica (Fmi, Bce e Commissione europea). Più che un diktat, dunque, un principio di dittatura (come Berlusconi anch’egli, d’altronde, aveva spesso manifestato insofferenza per i passaggi parlamentari ai quali doveva sottoporsi il suo governo) che lo trasforma di fatto in un “estremista democristiano”, privo peraltro – al contrario dei democristiani della prima Repubblica – di un adeguato rispetto per gli avversari e caratterizzato anche dalla sfumatura di superbia del cattedratico di lungo corso.

Monti gareggia nel nuovo agone politico contro Bersani, con il quale tuttavia ha già un patto di governo, contro Berlusconi, Ingroia e Grillo, avendo alle spalle tre grandi lobby: la Bce, il Vaticano e la Fiat. Al comando, dunque, di una specie di corazzata inaffondabile e con l’appoggio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che probabilmente già ha in mente di affidargli la formazione del nuovo governo anche in caso di un secondo posto elettorale (la legge glielo consente). Questo brusco cambiamento d’immagine, da professore con un suo understatement a candidato premier che non resiste neppure alla tentazione verbale di qualche colpo basso, rischia tuttavia di alienargli i favori di quei cittadini che hanno apprezzato il suo “stile loden” ai fini di una migliore immagine dell’Italia e di una maggiore credibilità della politica, anche a dispetto – al di là del contenimento dello spread – dei risultati assai poco incoraggianti per l’economia del Paese: disoccupazione in crescita, recessione più pesante, inflazione record, riduzione dei salari reali. Il più grosso errore di Monti, dunque, di qui al 24-25 febbraio sarebbe quello di continuare sulla strada del presenzialismo televisivo e delle parole in libertà, una strada sulla quale altri sono più “professori” di lui.

 

 

 

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