Tra estorsioni e bancarotta, l’incredibile storia di Lino Cauzzi – di Giulia Bosetti

Uomini e no è la rubrica di Giulia Bosetti per Reportage dedicata alla difesa dei diritti umani.

 

Questa storia inizia dieci anni fa, ma si potrebbe raccontare con una sola immagine. Appartiene all’inverno del 2013, sulle campagne di Mantova si è adagiata la nebbia di sempre. Appena lasciata la statale, nel comune di Marcaria, all’ingresso di un gigantesco parcheggio, è installato, come fosse una statua, un vecchio aeroplano di medie dimensioni, il tricolore stampato sulla fiancata. Per la gente del posto, quell’aereo è il simbolo dell’edificio che si staglia sullo sfondo, un enorme fabbricato azzurro a tre piani orlato di portici: l’hotel la Contea, o quel che ne resta. 3.600 metri quadrati di terreni, piscina, bar, cucine, pizzeria, un laghetto artificiale per la pesca sportiva. Un gioiello che fino a tre anni prima apparteneva a Lino Cauzzi, imprenditore alberghiero da quarant’anni. Un distinto settantenne mantovano, che col suo cappotto doppiopetto e la cravatta rossa si aggira tra le macerie delle sue fatiche di una vita. Perché più che un albergo, La Contea assomiglia ad un campo di battaglia: i muri anneriti da un incendio doloso, un tappeto di vetri infranti, i televisori sventrati. E’ stato rubato tutto: dalle porte agli impianti elettrici, i cavi di rame, l’intero mobilio. Questa è la fotografia del 2013: sembra la fine e invece è  soltanto l’inizio.

Lino Cauzzi aveva alberghi a Mantova, Verona, Brescia, Peschiera e Desenzano sul Garda, un patrimonio immobiliare da 60 milioni di euro che ha ceduto per intero in una sola notte, il 26 giugno 2009, trascinato a forza davanti a un notaio di Poggibonsi, in provincia di Siena. Qualche firma e tutte le sue società sono finite nella mani del gruppo Catapano, una holding di proprietà di due imprenditori di Ottaviano, in provincia di Napoli, che gli avevano prospettato un’operazione di ristrutturazione aziendale per risanare le sue imprese e riportarle agli splendori antecedenti la crisi che stava facendo a pezzi il tessuto economico del nordest. Cauzzi ancora non lo sapeva, ma era solo uno dei tanti imprenditori veneti finiti in questa rete. Senza rendersene conto, ha sottoscritto una serie di atti che gli hanno sottratto il controllo delle sue imprese e dei suoi beni, confluiti in un gruppo di società straniere. Non ha ricevuto in cambio neanche un euro, i Catapano hanno preso il possesso delle sue proprietà e i suoi dipendenti sono stati cacciati. Poi, ricostruisce l’imprenditore, sono arrivati i problemi con il Comune, la sospensione delle licenze e l’attività non è mai ripartita. Pezzo dopo pezzo, gli hotel di Cauzzi sono stati smontati insieme alle sue imprese: si sono portati via tutto. C’erano debiti, certo, difficoltà finanziarie, ma in quella notte del 2009 tutto è precipitato all’improvviso.  La Contea, un albergo che ai tempi d’oro fatturava 100mila euro al mese, si è trasformata nello spettro di se stesso.

Da un giorno all’altro mi sono ritrovato a terra, non avevo più nulla e sono stato costretto a nascondermi, perché se mi avessero trovato sarei finito ancora peggio – racconta il signor Cauzzi tra i saloni abbandonati dell’hotel – Ho dovuto mandare la figlia e i nipotini in America e andare dalla Finanza a denunciare”. Non poteva neppure andare a vedere in che condizioni stavano precipitando le sue proprietà, perché quando ci ha provato è stato minacciato ed è finito all’ospedale più di una volta: “Quando tre anni dopo ho rimesso piede nell’albergo e l’ho trovato in queste condizioni, sono scoppiato in lacrime”. Si allontana, di nuovo commosso, tra i corridoi abbandonati e le stanze vuote, i vetri infranti,  il disastro che lo circonda. 

In quell’inverno del 2013, Cauzzi era un uomo spezzato, ma ancora con qualche speranza. Due anni prima, i fratelli Capatano erano stati arrestati. I Carabinieri e la Guardia di finanza avevano scoperto che i due facevano spericolate operazioni di alta finanza svuotando imprese del nord Italia in difficoltà attraverso delle società estere. L’accusa: associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Secondo i magistrati, avevano costruito un piccolo impero che lavorava in moltissimi settori, finanza, consulenza, merchant bank ed editoria e aveva alle sue dipendenze avvocati, notai e commercialisti. Tra il 2009 e il 2011, riportava la Finanza, avevano preso in mano decine di aziende e realizzato affari d’oro: 9,5 milioni di distrazioni patrimoniali, 5,5 di tasse evase e 24 milioni di euro di guadagni. Società sull’orlo del fallimento che finivano in bad company con sedi fittizie nell’entroterra di Caserta, intestate a prestanome nullafacenti, mentre i soldi e le proprietà immobiliari sparivano dentro a società di diritto britannico. Fallimenti che lasciavano debiti milionari nei confronti dei creditori e soprattutto dello Stato. 

Ma con l’arresto dei fratelli Catapano non arriva il lieto fine. I due ottengono una sentenza che spazza via l’ombra della camorra e patteggiano una pena per i reati societari. Molti dei loro collaboratori, invece, sono ancora sotto processo in diverse città d’Italia. A quel punto Lino Cauzzi immagina di potersi rimettere in piedi, riprendere possesso dei propri beni, ricominciare a vivere insomma. Ma si sbaglia. Le imprese falliscono, l’hotel Hermes di Cremona viene venduto all’asta, La Contea, in provincia di Mantova, è ancora come in quell’inverno del 2013. Per il signor Cauzzi, non un risarcimento danni: impossibile pensare di ripianare i debiti accumulati in tanti anni di dissesto. Scrive a prefetti, presidenti di tribunale, leader politici. Gli rimane soltanto la sua villa di Desenzano del Garda e anche su quella c’è una trattativa in corso con una società di recupero crediti a cui la banca ha ceduto l’immobile. Cambia avvocato, fa opposizione ai fallimenti, non fa che ripetere di essere stato truffato una seconda volta: “Ho perso tutto e vivo ancora nella paura, mi hanno condannato alla solitudine. E sono ancora tanti gli imprenditori come me, che vivono strozzati dalle banche e ricattati dalla criminalità”.

E’ con questo stato d’animo che arriva alla scorsa primavera. Una mattina torna a casa dopo aver fatto colazione al bar e viene aggredito in cortile. Due uomini incappucciati gli saltano addosso alle spalle, lo immobilizzano e gli puntano un coltello alla gola. Lui si divincola, scatta via con la testa all’improvviso, viene ferito al volto. Lo trova poco dopo il suo avvocato, il viso insanguinato, riverso a terra: “Volevano uccidermi, farmi fuori o forse soltanto terrorizzarmi. Ci sono riusciti”. Passano pochi mesi e a luglio 2018, in quella stessa casa di Desenzano del Garda a cui Lino Cauzzi si aggrappa come all’ultimo scoglio per non affogare, si presenta un geometra con degli operai. E’ un tecnico mandato dalla banca in seguito al pignoramento della casa, lo informa che deve portare via i quadri, le statue, tutti i mobili. Cauzzi prova a fermarlo, protesta, vuole chiamare la polizia. Si sente male, gli viene un attacco di cuore, arriva l’ambulanza. 

Quando mi racconta quello che ha subito e che adesso è oggetto di querela presso la procura di Brescia, Lino Cauzzi scoppia in singhiozzi, come tanti anni prima nel suo hotel abbandonato. Dice di essere ancora vittima degli stessi criminali, dello stesso sistema che gli ha portato via tutto. E’ stato costretto a trasferirsi a casa di un amico, non vuole neppure dirmi dove si trova, ha paura che lo trovino anche lì. I processi che lo riguardano sono ancora aperti, ma la sua casa è rimasta vuota. 

 

 

 

 

ph. Giulia Bosetti (credit Laura Mormii)

 

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