Dondero, il retroscena del reportage su Capa – di Angelo Mastrandrea

 

Dondero Capa

Avrebbe affrontato la sfida più ardua della sua vita appena una settimana dopo, Mario Dondero. Eppure non si era tirato indietro. Appena sceso dalla corriera che da Fermo lo aveva portato a Salerno, con l’immancabile borsone a tracolla, l’inseparabile macchina fotografica e un librone su Robert Capa, aveva esclamato: “Questo reportage sarà il mio canto del cigno”. Il richiamo del grande fotografo americano era più forte di una difficile operazione che lo attendeva di lì a poco. Erano i giorni del settantesimo anniversario dello sbarco degli Alleati e si trattava di ritrovare una bambina immortalata, forse da Capa o da un altro fotografo al seguito delle truppe americane, in uno scatto del 1943.

La ricerca si trasformerà in un’impresa picaresca che avrà il suo culmine davanti alla porta di un’abitazione di Licinella, frazione di Paestum, dove un’anziana contadina, una volta convinta da Dondero che non si trovava di fronte un esattore delle tasse, si scioglierà in un sorriso esclamando: “Sì, la bimba della foto sono io”. A riprova, tirerà fuori una copia dello scatto, insieme a un’immagine che la ritraeva, ormai donna matura, insieme ad altre persone: i parenti del militare che l’aveva tenuta tra le braccia, venuti pure loro a cercare la bambina di un tempo. Potenza delle immagini e della loro capacità di fermare il tempo. Peccato che il fotografo con ogni probabilità non fosse Robert Capa.

Nella foto c’era un militare che somigliava in maniera impressionante al fondatore dell’agenzia Magnum. Folgorante cambiamento di prospettiva: che Capa fosse il fotografato e non il fotografo? O era solo una suggestione? Il reportage “Dondero fotografa Capa” traballava sempre più, ma il protagonista non pareva dolersene. Per lui era fondamentale il momento che stava vivendo e che andava raccontato (come accadrà poi su Il Reportage) per quello che era: la storia di un’allucinazione donchisciottesca.

Quella disordinata incursione in terra di meridione non sarà il “canto del cigno” del fotografo del nouveau roman e del ’68 francese, di Pasolini e in buona sostanza del ‘900 europeo, del camallo onorario, comunista e partigiano. Non passerà un mese dall’operazione che Vanity Fair dedicherà la copertina a “Toni Servillo fotografato da Mario Dondero”. Aveva abituato tutti a recuperi fisici che avevano del prodigioso.

Seguiranno il Festivaletterature di Mantova e l’inaugurazione della mostra alle Terme di Diocleziano a Roma, un’ultima incursione al manifesto e una telefonata a sorpresa, poco meno di un mese fa: “Sto bene, non preoccuparti”. C’era un progetto in sospeso: tornare nelle sue terre d’origine sulle tracce di una concittadina di un secolo e passa fa. Quando era venuto a conoscenza della storia di Ellade Blandina, la suora che confessò Billy the Kid, era partito in quarta rievocando i suoi trascorsi partigiani, che in questo caso non c’entravano molto. “Ci facciamo un libro?”, aveva chiesto. Tra la val d’Ossola e il vecchio West, si annunciava un’altra avventura dagli esiti imprevedibili.

 

(da il manifesto 15/12/2015)

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