Tra i beduini arabo-palestinesi nel giardino di Dio – di Cecilia Ferrara

“Quello di cui si preoccupano i beduini quando subiscono le demolizioni da parte dell’esercito israeliano sono soprattutto gli animali: non pensate a noi, ci dicono, noi possiamo stare anche all’aperto, ma abbiamo bisogno di recinti e di ripari per gli animali”. A parlare è uno dei responsabili di una Ong francese che si occupa del primo soccorso agli evacuati dopo che i bulldozer hanno buttato giù tutto. Non vuole dire il suo nome per poter continuare a lavorare senza conseguenze. “Le demolizioni di insediamenti palestinesi avvengono da molti anni – spiega – parliamo di circa 600 demolizioni nel 2014, questo costringe la popolazione ad una sorta di deportazione vietata dalla convenzione di Ginevra. Israele afferma di essere nel giusto poiché i palestinesi costruiscono senza permessi. Il problema è che è molto difficile che un palestinese ottenga una licenza di costruzione, quindi costruisce e ci si difende nelle corti israeliane contro gli ordini di demolizione sperando di ritardarli”.

La sua Ong fornisce un aiuto economico per i primi mesi, mentre l’ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari (Ocha) si occupa di rifornire gli evacuati di ripari temporanei e altri aiuti materiali, ad esempio i depositi dell’acqua. I beduini sono pastori arabo-palestinesi tra i più colpiti dalle demolizioni. Emarginati dai loro stessi concittadini, quando vengono espulsi dai luoghi di pascolo rischiano di doversi insediare ai bordi delle grandi città e vivere in condizioni ancora più precarie e degradate.

beduini 2Siamo andati a visitarli nel Nord della Cisgiordiana, nella Valle del Giordano, governatorato di Tubas. Anticamente questo era chiamato “il giardino di Dio” per la sua particolare fertilità, qui si ritiene che si trovasse il giardino dell’Eden. Oggi le dolci colline e i campi di grano incolti che circondano la Valle del Giordano sono “Area C” quella che secondo gli accordi di Oslo II del 1995 è territorio del futuro Stato palestinese, ma al momento è sotto il pieno controllo militare e civile israeliano. L’Area C comprende circa il 61 per cento della West Bank ed è quasi interdetta agli stessi palestinesi per via delle numerose colonie israeliane, delle riserve naturali e delle cosiddette “zone militari chiuse”. Gli unici palestinesi rimasti sono i beduini, approdati qui dopo essere fuggiti dal deserto del Negev fin dal 1948, l’anno della Nakba, la disfatta palestinese che ha portato alla creazione dello Stato di Israele. I beduini, oggi circa 60mila, sono poverissimi, i loro unici averi sono appunto gli animali, ma Israele non gradisce che questi pastori tendenzialmente nomadi si possano muovere nelle zone vicine agli insediamenti dei coloni. Da anni Tel Aviv vorrebbe ricollocarli tutti in un unico posto controllato, da anni punta a farli uscire dalla Valle del Giordano.

La nostra breve visita all’Eden passa per la comunità di Humsa al Baqai’a. Su un pendio circondato dai campi di grano e poco lontano da un avamposto dell’esercito israeliano si trovano quattro tende, una grande dove si radunano gli uomini a fumare e a bere te’ sdraiati o seduti in cerchio, una tenda cucina dove si radunano le donne con i bambini e poco lontano ripari recintati con capre e bovini. Sono otto famiglie, 26 persone tra cui 17 bambini provenienti dalle regioni a Sud di Hebron, vite estremamente semplici, sempre le stesse. Anch’essi hanno affrontato numerosi ordini di espulsione da parte delle autorità israeliane. Sono stati difesi da un avvocato del governatorato di Tubas, ma il primo aprile dell’anno scorso l’ordine è stato eseguito e il piccolo insediamento è stato distrutto.

“Vogliono la terra – dice una donna – non ci vogliono qui”. Grazie agli aiuti internazionali hanno ricostruito le tende e ripreso la vita di ogni giorno. “La nostra vita dipende completamente dagli animali – racconta Amal, una delle ragazze nella cucina – ogni mattina ci svegliamo, preghiamo e andiamo a dare da mangiare agli animali, li puliamo, li mungiamo e facciamo il formaggio e poi di nuovo puliamo e poi stiamo qui, nella tenda, non andiamo da nessuna parte”. E gli israeliani? “Vengono di tanto in tanto – dice un’altra delle ragazze – ad aprile dell’anno scorso per la prima volta ci hanno distrutto tutto. A volte vengono e ci minacciano, una volta ci hanno costretto a stare fuori dalla tenda dalle sei di mattina alle due di pomeriggio. Noi non abbiamo nessun altro posto dove andare, se distruggeranno ancora le tende le ricostruiremo di nuovo”.

 

 

About author