Giornata mondiale del rifugiato, il viaggio infinito – di Ilaria Romano

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. (Art. 1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo)

Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità. (Art. 2 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo)

sirian refugeeDal 2001, cinquantesimo anniversario della Convenzione di Ginevra, il 20 giugno è la Giornata Mondiale del Rifugiato. Quest’anno i rifugiati nel mondo, secondo i dati dell’Unhcr, hanno superato i 50 milioni, e la metà di loro sono donne e bambini. Da Siria, Iraq, Eritrea, Somalia, Afghanistan, solo per restare sui grandi flussi migratori, migliaia di persone ogni giorno fuggono da guerre e persecuzioni. Succede in Africa, Asia, alle porte dell’Europa, nelle Americhe, e secondo quanto riporta l’ultimo Rapporto Caritas Migrantes, dal 1990 a oggi l’aumento globale delle migrazioni è stato del 50,2%. Il Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari economici e sociali ha stimato che nel 2013 erano circa 232 milioni le persone che vivevano in un paese diverso da quello d’origine, contro i 154 milioni del 1990. Numeri che potrebbero crescere del 10, 15% se si tiene conto dei flussi irregolari.

Europa ed Asia ospitano insieme il 62% del totale internazionale dei migranti, il Nord America il 23%, l’Africa l’8%, l’America Latina il 3,7%, l’Oceania il 3,4%. I paesi del mondo con la più alta percentuale di migranti per popolazione sono gli Sati Uniti e la Federazione Russa. Seguono la Germania, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, il Regno Unito, la Francia, il Canada, l’Australia, la Spagna e l’Italia. Il movimento sud-nord è stato il principale per numero di spostamenti, ma nel 2013 le direttrici sud-sud sono arrivate a rappresentare il 36% del totale. Nel ventennio dal 1990 al 2010 in Europa sono arrivati 28 milioni di immigrati, contro gli 8 milioni del ventennio precedente. Nel 2013 il numero totale di residenti stranieri nell’Unione Europea era di 34,9 milioni di persone, pari all’ 8,4% della popolazione. Degli oltre 230 milioni di migranti almeno 43 milioni sono vittime di conflitti e persecuzioni per motivi politici, religiosi, identitari. Di questi, più di 15 milioni hanno lasciato il proprio paese e altri 27 milioni si sono mossi all’interno dei confini nazionali, e ad oggi risultano come internally displaced people. Anche se le leggi internazionali distinguono fra rifugiati – tutelati dalla Convenzione di Ginevra – e sfollati interni, le condizioni di vulnerabilità e di bisogno sono molto simili. In entrambi i casi si sono persi identità sociale, casa, lavoro, comunità di riferimento.

L’Alto commissario per i rifugiati, António Guterres, ha detto che una delle maggiori sfide per l’Unhcr è la natura degli attuali conflitti, che si trascinano per anni, se non per decenni, condannando ad altrettanto tempo di esilio milioni di persone. Più della metà dei rifugiati attualmente sotto responsabilità dell’agenzia delle Nazioni Unite, sono fuori dal loro paese da più di cinque anni. Nel 2009 sono rientrati in patria 250 mila rifugiati, nemmeno un quarto dei rientri del decennio passato. Una sorta di limbo a lungo termine, lo definisce Guterres, che necessita di soluzioni politiche nelle aree di conflitto, senza le quali il numero dei richedenti asilo continuerà a crescere, come pure la permanenza dei rifugiati nei paesi ospitanti. Contemporaneamente, negli ultimi anni, si è ridotto lo spazio umanitario in cui gli operatori possono lavorare; perché i conflitti di oggi hanno molteplici attori, e non tutti rispettano la neutralità e il diritto internazionale umanitario. Intanto il concetto di asilo sembra esserssi svuotato di significato, in un mix di movimenti migratori dove spesso i richiedenti viaggiano sulle stesse rotte, con gli stessi mezzi e vittime degli stessi traffici dei migranti economici. E per questo diventano soggetti alle stesse restrizioni ancora prima di potersi dichiarare in violazione del principio di non-refoulement.

Chi arriva 

Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. (Art. 14 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo)

L’Europa, di fronte ai conflitti a sud, in Libia, Somalia, Eritrea, ad est, con la crisi Ucraina, a sud est con la Siria e l’Iraq, ha visto un aumento senza precedenti della percentuale di richiedenti asilo fra i migranti in arrivo, che oggi rappresentano la metà del totale. I siriani e gli eritrei arrivati in Italia via mare nel 2014 sono aumentati del 250% rispetto al 2013. E’ cresciuto il numero di donne e bambini che si imbarcano in questo viaggio. Nei primi mesi del 2015 sono già arrivati 2.600 minori, dei quali 1.700 non accompagnati. Nel 2014 erano stati 26mila, dei quali 13mila non accompagnati.

Almeno 219 mila persone hanno attraversato il Mediterraneo nel 2014, numeri tre volte superiori a quelli che si erano riscontrati nell’estate del 2011, dopo che le primavere arabe avevano rovesciato i regimi tunisino ed egiziano. 170 mila persone sono sbarcate in Italia, 42 mila in Grecia.

Nei primi cinque mesi di quest’anno, sono state 46.500 le persone che hanno affrontato il mediterraneo, e 1.850 di loro sono morte senza toccare terra, un numero sei volte più alto delle vittime dello scorso anno, 3.500.

I paesi del sud Europa hanno ricevuto 82.500 richieste d’asilo nel 2014, contro i 3,8 milioni dei paesi del Medio Oriente e dell’Asia Centrale. Quelle raccolte in Italia sono state 65.700 (secondo il Regolamento di Dublino il richiedente può presentare la domanda di asilo in un solo stato membro Ue e il paese che deve esaminarla è quello di ingresso).

Osservando i dati dell’Unhcr, il numero di richiedenti rispetto alla popolazione dei singoli paesi non supera mai l’8 per mille. La Svezia è il paese con maggiori richieste rispetto al numero di abitanti, 7,7 ogni mille, l’Ungheria 4,1, l’Austria 3,3, la Germania 2,1 e l’Italia e la Francia uno ogni mille.

Chi fugge

Siria e Iraq

Al 31 maggio i rifugiati siriani censiti dalle Nazioni Unite erano 3.980.623. Di questi, 2,2 milioni sono stati registrati in Egitto, Iraq, Giordania e Libano, 1,7 milioni in Turchia e 253 mila in Europa (tra aprile 2011 e marzo 2015 – dei quali 138 mila solo nel 2014). Accolti per il 52% dei casi in Germania e Svezia, per il 25% da Serbia, Olanda, Bulgaria, Austria e Danimarca e solo per il restante 23% dagli altri paesi europei, compresa l’Italia. Ulteriori problemi hanno riscontrato i rifugiati palestinesi che vivevano in Siria: la Giordania non solo gli ha rifiutato l’ingresso, ma ha anche revocato la cittadinanza ad alcuni rifugiati palestinesi che già ci vivevano. Anche il Libano ha limitato gli ingressi di nuovi palestinesi e i rinnovi di permesso per chi già risiedeva nel paese. Dal 2014 molti siriani hanno cercato di raggiungere l’Europa anche via terra, ma paesi come la Bulgaria li hanno spesso respinti in maniera violenta e senza permettere la formulazione di una richiesta d’asilo.

L’Iraq, nonostante la criticità interna, continua a ricevere rifugiati provenienti dalla Siria, mentre si trova ad affrontare, soprattutto nell’area del Kurdistan, l’emergenza degli sfollati interni provenienti dalle zone finite sotto il controllo dello Stato Islamico, da Mosul, Kirkuk, Ninevah fino ad Al Anbar. Che si calcola siano almeno un milione e 900 mila persone.

Afghanistan

Nel 2014 l’intensificarsi delle azioni terroristiche in aree popolate da civili in vista del “ritiro” della coalizione internazionale ha causato l’aumento degli sfollati interni, fuggiti soprattutto dalle province dell’Helmand e di Kunduz. L’Alto Commissariato Onu ha documentato 683 mila casi di sfollati interni. Nonostante gli oltre cinque milioni di rientri dal 2002 ad oggi, il paese continua ad avere una fra le più alte percentuali di rifugiati nel mondo, nei vicini Pakistan e Iran ma anche in Europa.

Eritrea e Somalia

Dal 2004, più di 200 mila eritrei vivono nei campi profughi ai confini col Sudan e l’Etiopia, dopo aver lasciato il paese attraversando una frontiera dove chi non è autorizzato ad uscire viene ucciso. Ma la mancanza di lavoro e di prospettive spinge molte persone a mettersi nelle mani dei trafficanti che promettono di portarli in Egitto e in Israele, e che li sottopongono ad ogni tipo di abuso. Secondo Amnesty International ogni mese scappano in media fra le 3.000 e le 5.000 persone da un regime che non prevede partiti o media indipendenti, con un servizio militare obbligatorio per uomini e donne dai 18 ai 50 anni, che pratica la tortura sui detenuti e vieta culti non autorizzati.

In Somalia nel 2014 almeno due milioni di persone, in particolare al sud, hanno lasciato le loro case per trasferirsi in altre zone del paese a causa degli scontri fra le forze filogovernative e le milizie Al Shabab. Solo in Etiopia e Kenia sono presenti circa 900 mila rifugiati somali, anche se il governo di Nairobi ha attivato una politica di rimpatri forzati, come pure l’Arabia Saudita.

Il Sud est asiatico

Anche il Sud est asiatico è un’area di forte migrazione. Pochi giorni fa l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha dichiarato che servirebbero almeno 13 milioni di dollari per garantire i servizi primari alle persone che arrivano in Malesia, Indonesia e Thailandia soprattutto dal Myanmar e dal Bangladesh, attraversando il Golfo del Bengala e il Mare delle Andamane. Un dramma quasi sconosciuto fuori dall’area, che coinvolge migliaia di persone che restano in mare anche per mesi. Il 29 maggio la Conferenza di Bangkok ha riunito 17 nazioni e organizzazioni internazionali per discutere di immigrazione, e nonostante sia stata confermata da Malesia e Indonesia la disponibilità all’accoglienza umanitaria – dopo numerosi respingimenti – per chi arriva sulle loro coste, e l’uso dei rispettivi spazi aerei per individuare in volo i barconi in navigazione, non è stata affrontata a fondo la questione della minoranza musulmana dei Rohingya. Presente in Myanmar, soprattutto nello stato di Rahkine, questa comunità vive in uno stato di apartheid dalla presa del potere militare in Birmania (oggi Myanmar), con divieto di cittadinanza e di proprietà privata. Secondo le Nazioni Unite si tratta di una fra le minoranze più perseguitate al mondo.

Indonesia, Malesia, Nepal e Sri Lanka

Paese di transito dell’immigrazione verso l’Australia per i rifugiati e i richiedenti asilo non solo della Birmania e del Pakistan, ma anche dell’Afghanistan e della Somalia, lo scorso anno ha bloccato 10.500 persone, compresi 300 minori, in un limbo dovuto all’assenza di una legge sull’asilo. Stessa situazione in Malesia, dove la legge sull’immigrazione non prevede la richiesta di asilo e il governo non ha mai firmato la convenzione di Ginevra.

Il Nepal ha imposto stringenti norme alle proteste pacifiche dei rifugiati del Tibet dopo aver ricevuto pressioni da parte della Cina. Così ora ai tibetani è proibito riunirsi in pubblico anche solo per le celebrazioni buddiste. In Cina si continuano a considerare i nord coreani come migranti economici illegali e non come richiedenti asilo, nonostante la ratifica di Ginevra. Lo Sri Lanka arresta ed espelle richiedenti asilo, comprese persone registrate dall’Unhcr, provenienti da Pakistan e Afghanistan.

Australia

Secondo il World Report 2015 di Human Rights Watch, l’Australia ha perso l’occasione di essere un paese leader nell’accoglienza e nella protezione dei rifugiati nel sud est asiatico. Dal 2013 ha incrementato le politiche restrittive per i richiedenti asilo che arrivano via mare, e quando non ha respinto le imbarcazioni, ha trasferito i migranti nei centri di detenzione per immigrati sull’Isola di Manus o a Nauru. Nel dicembre scorso, secondo Amnesty International, più di 3 mila persone si trovavano in queste carceri , compresi 556 minori.

 

 

Una giovane rifugiata siriana/ photo credit: Ilaria Romano

 

 

 

 

 

 

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