Un viaggio alla scoperta del Nagorno Karabakh – testo e foto di Ilaria Romano

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Tra l’ultima e la penultima fila di sedili della marshrutkha, il taxi collettivo, un uomo sulla quarantina, che viaggia insieme alla moglie, ha sistemato decine di cestini di vimini dal manico sottile. L’uno dentro l’altro formano piccole torri incurvate. Lei ha una borsetta rossa rigida in finta pelle e un sacchetto termico dal quale filtra un odore di agrumi vagamente inaciditi. Sono le 9.30 del mattino a Yerevan e ci sono già 38 gradi: il nostro è l’ultimo minivan della giornata diretto a Stepanakert e parte tra mezz’ora, appena tutti i posti saranno pieni e l’autista avrà finito di completare la sua singolare costruzione fatta di valigie, buste di plastica e scatoloni impilati in ordine di arrivo, a dispetto di forma e peso, nel bagagliaio. Appena 320 chilometri separano la capitale armena da quella dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh, eppure ci vogliono sei o sette ore, comprese le soste per rifornirsi di carburante, attutire la nausea di qualche passeggero, superare i controlli di frontiera. (…)

 

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