Erdogan non fa tendenza, sempre più Paesi verso l’abolizione della pena di morte – di Ilaria Romano

Aumentano le esecuzioni capitali ma, al contrario della recente sollecitazione alla piazza del presidente turco Erdogan, la tendenza generale della maggior parte dei Paesi del mondo è abolizionista. A confermarlo è l’associazione Nessuno tocchi Caino nel suo Rapporto 2016 relativo al 2015 e ai primi sei mesi di quest’anno. Allo stato attuale sono più di due terzi le nazioni che hanno abolito la pena di morte: 104 non la prevedono più per alcun tipo di reato, 44 l’hanno abolita de facto perché non hanno più eseguito sentenze di condanna negli ultimi dieci anni oppure hanno assunto impegni internazionali in merito, sei la contemplano come possibilità, ma solo in casi eccezionali e per reati commessi in tempo di guerra. I paesi che la mantengono diminuiscono progressivamente: nel primo semestre di quest’anno sono scesi a 38, contro i 54 di dieci anni fa; ma quelli che l’hanno effettivamente utilizzata sono stati 25 nel 2015, rispetto ai 22 del 2014 e ai 26 del 2008.

I casi di pena capitale, tuttavia, sono aumentati: quelli certificati sono passati da 3.576 a 4.040, dal 2014 al 2015, con un aumento particolarmente significativo in Arabia Saudita, Cina, Iran e Pakistan. Paesi come Ciad e Oman hanno invece ripreso le esecuzioni lo scorso anno, dopo sei anni di moratoria. Da gennaio a giugno di quest’anno sono state già eseguite 1685 sentenze di condanna a morte in 17 fra paesi e territori; ed è probabile che siano avvenute esecuzioni anche in Siria, Corea del Nord, Sudan, Vietnam e Yemen, anche se difficili da accertare a causa dei conflitti in atto o delle politiche di regime.

Nel 2015 non ci sono invece state esecuzioni capitali in tre Paesi che fino a un anno prima le avevano effettuate (Bielorussia, Guinea Equatoriale e Striscia di Gaza); allo stesso modo, nella prima metà del 2016, non sono state registrate esecuzioni in sette Paesi che l’anno precedente non vi avevano fatto ricorso (Ciad, Egitto, Emirati, Giordania, India, Indonesia, Oman).

L’Asia si conferma il continente che detiene il primato negativo per numero di condanne a morte eseguite: solo in Cina ci sono state almeno 2.400 esecuzioni nel 2015, su un totale di 3.946 in tutta l’area.

In Africa la pena di morte ha continuato ad essere praticata, nel 2015, in Somalia, con almeno 25 condanne, in Egitto con 22, Ciad con 10, Sud Sudan con cinque e Sudan con quattro. Fra questi paesi, Somalia e Sud Sudan hanno eseguito nuove condanne anche quest’anno, rispettivamente tredici e due.

L’Europa è libera dalla pena di morte fatta eccezione per la Bielorussia, che quest’anno ha già eseguito una sentenza capitale. Tutti gli altri Paesi europei sono completamente abolizionisti, mentre la Russia rispetta una moratoria legale delle esecuzioni.

Negli Stati Uniti il Nebraska è il diciannovesimo stato che ha abolito la pena di morte, l’anno scorso, mentre in Colorado, Pennsylvania, Oregon e Washington le esecuzioni sono state sospese a causa dei difetti riconosciuti dai governatori sul sistema capitale.

Sempre più vicini all’abolizione sembrano essere il Burkina Faso, la Guinea, il Kenia, l’Uganda e la Corea del Sud, dove sono state annunciate o proposte leggi ad hoc per modificare la Costituzione o il Codice penale. Il Vietnam ha invece ridotto il numero dei reati punibili con la morte, e il Laos, la Liberia, il Malawi, il Niger, la Sierra Leone, il Tagikistan e la Tailandia, hanno accettato raccomandazioni in sede di Revisione periodica universale del Consiglio dei diritti umani dell’Onu.

Altri 12 paesi hanno confermato la loro politica di moratoria di fatto sulla pena di morte, come il Bahrein, il Marocco, il Qatar, la Tunisia e lo Zambia.

Un altro dato importante è il legame sempre più stretto fra i reati legati al terrorismo e il ricorso alla pena di morte: nel 2015 vi hanno fatto ricorso, in almeno 100 casi di questo tipo, Paesi come Iraq, Iran, Cina, Somalia e Bangladesh. Anche nel 2016 la tendenza è rimasta costante, seppure con qualche eccezione positiva.

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