Dora Maar, prigioniera di una visione – di Maria Camilla Brunetti

Tutto è iniziato dalle mani, le sue bellissime mani inquadrate nel gioco del coltello in un tavolino al Deux-Magots. Lei siede sola. Ha ventinove anni. È una fotografa molto vicina ai surrealisti. Divide il suo studio con Man Ray, per essere più precisi, che la considera una delle migliori artiste della sua generazione.

«Questo splendore di ragazza si chiama Dora Maar, è mia amica ed è la più straordinaria fotografa che io conosca», così la presenta la prima volta che le fa conoscere il gruppo dei surrealisti che si ritrovano in quel periodo in un bell’appartamento affacciato sul Jardin du Luxembourg.

Dora aveva conosciuto Man Ray nel ’33 circa ed erano diventati molto amici.

A quel tempo lei divideva lo studio con Brassaï, il famoso fotografo ungherese che si vantava di essere l’unico fotografo di Parigi a potere fotografare Picasso.

È così che Dora conosce quelli che sarebbero diventati i suoi più cari amici; il poeta Paul Éluard e sua moglie Nusch musa dei surrealisti, Lee Miller – la bellissima modella e fotografa americana che di Man Ray all’epoca era l’amante e che la ritrasse in molti scatti – il pittore André Masson e George Bataille, con il quale ebbe una tormentata relazione.

Paul Éluard quel pomeriggio di gennaio del ’36 al Deux-Magots siede insieme a Pablo Picasso poco distante dal tavolino della ragazza. Nel gioco del coltello Dora si ferisce e le sue dita si macchiano di leggeri rivoli di sangue. Lo spagnolo non riesce a distogliere gli occhi dalle dita ferite della giovane donna. Deve alzarsi e avvicinarsi. Deve conoscerla. Da quel pomeriggio d’autunno Dora sarà per quasi dieci anni la donna di Picasso, in una relazione che la porterà alla follia.

In Schiava di Picasso (Neri Pozza) è la storia di questo amore che Osvaldo Guerrieri racconta. La storia di un’ossessione che sfinirà l’artista fino a portarla a dire: «Pablo è uno strumento di morte. Non è un uomo, è una malattia, non un amante ma un padrone».

Dora Maar nasce a Parigi il 22 novembre del 1907, l’anno in cui Picasso – ventiseienne – rivoluziona la storia dell’arte disegnando Les Demoiselles d’Avignon. Nasce Henriette Theodora Markovich, unica figlia di Josip Marcovich, architetto croato che lavorava per l’Impero Austro-ungarico e di Julie Voisin, francese.

La famiglia Markovich nel 1910 si trasferisce in Argentina – a Buenos Aires – ed è in questa città che Dora trascorre l’infanzia e l’adolescenza. La famiglia rientra in Francia solo nel 1926, quando Dora ha diciannove anni.

Quando conosce Picasso, è già una fotografa conosciuta nell’ambiente delle avanguardie parigine. Spinge il medium fotografico in esperimenti sofisticati di montaggi e composizioni surrealiste e allo stesso tempo continua a lavorare sia su reportage sociali con taglio più giornalistico che per riviste di moda e costume.

Nusch Eluard, by Dora Maar 1935 circaIn quel 1936, anno dell’inizio della loro relazione, Picasso ha già una moglie, la ballerina russa Olga Choclova dalla quale è separato e dalla quale nel 1921 ha avuto il figlio Paulo, una seconda famiglia formata da Marie Thérèse Walter e dalla figlioletta Maya di appena un anno e alcune amanti occasionali.

Negli anni il pittore non rinuncerà mai alla famiglia con Marie Thérèse e Maya, alle quali dedica tutti i fine settimana, non rinuncerà mai alle avventure, stringerà Dora in un gioco crudele di umiliazioni e lontananze, separazioni e ritorni. Lui che si nutre dello sguardo e dell’ammirazione compiaciuta degli altri ha bisogno di sedurre e di dominare. Dora si ammala di gelosia ma non lo lascia, sopporta ogni umiliazione e ogni tradimento, anche quello più violento e doloroso, con Nusch – moglie di Éluard e sua più cara amica. Nei suoi anni con Picasso Dora finisce per rinunciare alla fotografia e all’arte. Si dissolve nell’ossessione per lui.

«Ho bisogno di lui, devo sentirmi dominata da lui. Senza di lui non so vivere».

Nell’ultimo periodo della loro relazione, nei giorni stremanti dell’assedio parigino del ’43, lei non riesce più a lavorare. I pomeriggi del ’37 quando Picasso dipingeva la grande tela in memoria dell’eccidio di Guernica e sembrava che potesse esistere solo per lei – per il suo sguardo che lo fotografava – e le lunghe estati a Mougins, nel Midi, quando Lee Miller la ritraeva in meravigliosi scatti mentre lei fotografava Nusch e Man Ray sembrano lontanissimi.

Mentre Parigi è soffocata dall’occupazione nazista e l’Europa sprofonda nel baratro – Dora sente che sta perdendo l’unica ragione della sua vita, l’uomo per il quale è stata disposta a tutto. Sente che lui che l’ha ritratta in centinaia di quadri nelle vesti della femme qui pleure, la donna che piange, la sta per lasciare. Lei che non ha potuto dargli un figlio e si è sentita sempre un passo dietro alle altre donne della sua vita.

Lei che era la più complessa, la più talentuosa. La più bella, come le disse sempre lui.

A pranzo al Catalan quel giorno di fine maggio del 1943, quando Picasso conosce la giovanissima Françoise Gilot – che ha quarant’anni meno di lui – ci sono tutti.

Quando Dora Maar vede il suo uomo conversare con la ragazzina e invitarla nel suo studio, si precipita fuori dal locale. Picasso la segue e la trova in stato confusionale, la mente persa nel delirio di un dolore troppo grande da sopportare.

È quella la fine. Dora lo sa.

Verrà chiamato Jaques Lacan a prendersi cura di lei. Sarà lui a curarla in una clinica poco fuori Parigi. Sarà lui a fare il miracolo e a donarle di nuovo una vita.

E quando Picasso, tempo dopo, andandola a trovare a Ménerbes nella casa che anni prima aveva comprato per lei le dice «ero sicuro che ti saresti uccisa» lei gli risponderà «non ti avrei mai dato questa soddisfazione».

Marie Thérèse non ce l’ha fatta ma Dora sì. Dora s’è salvata dal lui. Il minotauro.

 

 

1) Dora Maar by Izis 1940 circa.

2) Nusch Eluard, by Dora Maar 1935 circa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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