Calais, la settimana più dura – di Andrea Vignali, foto di Federico Roscioli

 

Era l’aprile del 2015, quasi un anno fa, quando i migranti sparsi in alloggi di fortuna in tutta la città di Calais sono stati sgomberati per essere riuniti in quest’area fuori dal centro, a nord del porto. Nei mesi successivi l’intera zona è cresciuta in popolazione, fino a contare diverse migliaia di abitanti, e si è guadagnata l’appellativo di Jungle. Da allora, quella appena trascorsa è stata la settimana più dura.

Tutto ha avuto inizio lunedì 29 febbraio. “Ci hanno svegliato le urla dei poliziotti fuori dalla tenda: erano le otto della mattina, io e i miei compagni eravamo spaventati ma solo io so l’inglese e allora sono uscito per parlare con loro”, racconta Atif, il quale indica un’area spianata, ancora presidiata dagli agenti: “Erano rumorosi, continuavano a dire di andarcene. Mi hanno detto che non dovevo stare qui. Questo è il mio posto, ho fatto io, non devo andare da nessuna parte. Allora gli agenti mi hanno spinto e sono indietreggiato di qualche metro. Un agente stava lì accanto con il gas lacrimogeno in mano, puntandomelo addosso. Non ci hanno fatto nulla ma appena ci siamo trovati tutti distanti da casa hanno cominciato a buttarla giù”.

Atif ha 37 anni, viene dal Sudan e trema ancora mentre parla: “Non so dove dormirò stanotte, ma non voglio andare via da qui. Fuori c’è ancora pieno di polizia e io non voglio essere portato in un centro di accoglienza”. I suoi compagni annuiscono in silenzio. Un’ordinanza della prefettura locale pubblicata venerdì 19 febbraio intimava agli occupanti della zona sud della Jungle di lasciare le abitazioni per permettere lo sgombero della zona. Il piano è di ripulire l’area e ricollocare gli abitanti in centri di accoglienza o dentro nuovi container per accedere ai quali bisognerà fornire le impronte digitali.

“Voglio essere estremamente chiaro – aveva detto il ministro degli Esteri francese, Bernard Cazeneuve: “Ciò che facciamo a Calais è dare protezione a tutti quelli che hanno lo status di rifugiato in Francia. Dire che avremmo inviato dei bulldozer per disperdere i migranti è una menzogna, una manipolazione”. A tre giorni da quelle parole un dispiegamento di duecento poliziotti, due camion estintori e due bulldozer ha circondato il perimetro dell’area sud della Jungle impedendo l’accesso a chiunque, fatta eccezione per gli assistenti sociali che hanno il compito di convincere i migranti a lasciare le case. C’è una scritta, molto diffusa sulle capanne del campo: lieu de vie, luogo di vita. Anche Atif lo aveva scritto sulla sua nella speranza che non venisse abbattuta.

“Alcuni di noi per sfuggire si sono arrampicati sui tetti. In questo modo la polizia non poteva demolire. Ma qualcuno è stato fatto scendere con la forza anche da là, e dopo un po’ abbiamo cominciato a reagire”. La tensione accumulata nelle ultime settimane esplode in pochi minuti: viene dato fuoco a una tenda, iniziano i primi lanci di sassi da parte dei migranti; la polizia risponde con i gas lacrimogeni e le cariche. Dove non basta, i getti d’acqua delle camionette spazzano via chiunque. Una scena di guerriglia senza precedenti in quest’area: i vicoli stretti si riempiono di fumo, sassi e urla. Lacrimogeni vengono sparati sulla gente e dentro le tende, c’è fumo dappertutto e altre tende prendono fuoco. Un gioco di avanzamenti e ritirate che si protrae per tutto il pomeriggio mentre le demolizioni vanno avanti. Alle otto, dopo aver eliminato circa una quarantina di capanne, agenti e mezzi si ritirano dagli scontri dopo la prima giornata di una settimana campale. “A questo punto il governo non ha più la nostra fiducia”, dice Francois Guinnoc, presidente de L’Auberge Des Migrants, una delle associazioni più attive sul territorio, che non ha più dubbi al riguardo:

“Il governo ha detto che non avrebbe demolito gli spazi sociali come le scuole e le chiese, e poi l’ha fatto: ha sgomberato una strada dove ci sono le nostre strutture, quelle di Medicine du monde e altre associazioni. Ha sparato lacrimogeni dentro una tenda cucina”. Dicono che in quell’area vivono mille persone, a noi ne risultano più di tremila. Dicono di avere posto per quelle mille persone in altri container o nei Cao, i centri di accoglienza. Ma le altre duemila persone?, chiediamo noi, che abbiamo comunque visitato alcuni centri e, se non siamo contro i centri in generale, considerate le condizioni di alcuni, non possiamo essere d’accordo”. E aggiunge: “La verità è che il governo ha stabilito di voler sgomberare l’area: quella è la loro priorità. Per il resto non ho letto nessun piano riguardante gli abitanti e la loro cura: l’obiettivo è costringere gli immigrati a chiedere asilo politico in Francia per poi non poter provare il viaggio verso l’Inghilterra, ma su cento richieste di asilo ne vengono accettate venticinque. In alcuni casi, grazie ai cavilli burocratici, solo dieci su cento. Quindi è ovvio che tutto questo serve solo per ostacolare chi viene e ha bisogno di aiuto, non per aiutarlo davvero. Altrimenti avrebbero ascoltato le nostre richieste”.

La prima richiesta de L’auberge riguarda la gestione dei minori. Secondo le loro stime la zona sud contiene più di 400 persone con meno di diciotto anni: buona parte di questi minori non è accompagnata e aspetta il ricongiungimento coi propri parenti proprio in Inghilterra. Nella zona sud risiede anche il Woman and Kids Centre: un posto di ritrovo dove i minori e molte donne vanno per ricevere aiuti e vengono affidati alla custodia di medici e giovani volontari, come la ragazza che ci accoglie: “Non posso dirvi granchè dei bambini che vengono da noi, ma molti sono soli e traumatizzati, la maggior parte è cresciuta in questi mesi sentendosi ripetere la stessa cosa: che la fine di tutto questo è in Inghilterra. Non importa se è così veramente, loro non vedono alternative se non arrivare là”.

Quando incontriamo Sultana ha appena finito il suo intervento in una trasmissione della radio del campo. Viene dall’Afghanistan, è considerata un piccolo genio per la capacità di parlare l’inglese assieme ad altre lingue, nonostante abbia solo dodici anni. “Mamma a volte diceva che non ce l’avremmo fatta, che voleva tornare indietro. Io capisco che l’Inghilterra possa decidere chi vuole far entrare: è il loro Paese, è giusto che decidano per sé. Anch’io se potessi vorrei tornare nel mio Paese e là decidere per me”. Non è la prima volta che Sultana viene intervistata: su internet c’è un video dove spiega perché vuole andare in Inghilterra: “Da grande mi piacerebbe fare la giornalista, come voi, perché si viaggia tanto, si incontrano un sacco di persone e si imparano un sacco di cose. Se fossi una giornalista oggi mi piacerebbe poter dire a quelli che scappano come me che cosa succede nei Paesi dove stanno per andare, perché a noi nessuno dice mai niente: non sappiamo cosa ci aspetta ad ogni cambio di destinazione e per questo molti possono scoraggiarsi, come è stato per mia madre. A me piacerebbe poter dire loro cosa succede, per aiutarli a capire come prendere le loro decisioni, e magari aiutarli a trovare un posto da dove non saranno più mandati via e potranno vivere una vita serena”.

 

ph. Federico Roscioli

Calais, France. February 28, 2016. Lieu de vie, literally living place, was written on many tents in order to avoid them to be destroyed by the French government. The Calais Jungle Camp for migrants, in Calais, France, dates January 2015, it is now the biggest refugee camp in Europe, hosting around 3700 migrants from all over the world. The people hosted in the camp are willing to reach the UK due to the lack of job opportunities in the rest of Europe.

Calais, France. February 28, 2016. Lieu de vie, literally living place, was written on many tents in order to avoid them to be destroyed by the French government. The Calais Jungle Camp for migrants, in Calais, France, dates January 2015, it is now the biggest refugee camp in Europe, hosting around 3700 migrants from all over the world. The people hosted in the camp are willing to reach the UK due to the lack of job opportunities in the rest of Europe.

 

Calais, France. February 27, 2016. The container area inside the camp. This area was built in January 2016, it is accessible only by fingerprints and once in you lose the chance of reaching the UK. The Calais Jungle Camp for migrants, in Calais, France, dates January 2015, it is now the biggest refugee camp in Europe, hosting around 3700 migrants from all over the world. The people hosted in the camp are willing to reach the UK due to the lack of job opportunities in the rest of Europe.

Calais, France. February 27, 2016. The container area inside the camp. This area was built in January 2016, it is accessible only by fingerprints and once in you lose the chance of reaching the UK. The Calais Jungle Camp for migrants, in Calais, France, dates January 2015, it is now the biggest refugee camp in Europe, hosting around 3700 migrants from all over the world. The people hosted in the camp are willing to reach the UK due to the lack of job opportunities in the rest of Europe.

 

 

 

 

 

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