In morte di Majakovskij – di Riccardo De Gennaro

“Il tuo sparo fu simile a un Etna in un pianoro di codardi e di codarde”, scrisse Pasternak nella sua poesia “In morte di un poeta”. Al funerale di Majakovskij parteciparono 100mila persone, se lo avesse saputo, commentò un suo amico, non si sarebbe suicidato. Qualcuno sostiene che non ci si suicida per amore. Majakovskij si suicidò per troppo amore. Per la poesia, per le donne, per la rivoluzione. Ma la poesia, le donne, la rivoluzione lo tradirono e, a un certo punto, non lo ricambiarono più. La mostra sui suoi vent’anni di lavoro era stata disertata dai suoi colleghi poeti e dal partito, le donne che amava si erano allontanate, la rivoluzione era abortita. Codardi. E codarde. La verità è che anche il grande Majakovskij fu lasciato solo. Non fu ucciso, come qualche illuso ricercatore tenta talvolta di provare. Fu, come si suol dire, suicidato. Ebbe in regalo anche una Mauser per questo: Yakov Agranov, un pezzo grosso dei servizi segreti, uno dei primi ad arrivare sul luogo del suicidio, gliela diede anni prima dicendogli: “Vediamo se hai fegato”.

Da tempo Majakovskij accarezzava quell’idea: “Sempre più spesso mi chiedo se non sia meglio mettere il punto di un proiettile alla mia sorte”, aveva scritto nel poema “Il flauto di vertebre”. La stessa Lili Brik ha ricordato: “Quante volte gli ho sentito dire: ‘Mi suicido! A trentacinque anni uno è vecchio! Vivrò fino a trent’anni, poi basta!’. Quante volte ho cercato di dimostrargli che la vecchiaia non doveva spaventarlo”. Superò sempre i momenti difficili con l’impeto del poeta, ma negli ultimi tempi i nervi erano fragili, le delusioni amorose frequenti. L’ultima gli venne dall’attrice Veronika Polonskaja, che assistette al suicidio o perlomeno udì il colpo di pistola mentre usciva dalla stanza (le versioni degli inquilini del terzo piano del palazzo di passaggio Lubjanskij si contraddicono). Lui voleva che lasciasse il marito e il teatro. Ne “Il mio Majakovskij”, la Polonskaja sostiene che dopo le prove sarebbe andata a casa e avrebbe detto tutto al marito per poi, la sera, tornare “da lui per sempre”. Ma otto anni dopo una tragedia di questo genere si può credere e scrivere qualunque cosa.

Cover - Il defunto odiava i pettegolezzi   La slavista Serena Vitale tenta ora di farla finita con la ridda di voci sulle cause del suicidio. L’ha aiutata in questo l’apertura degli archivi segreti, che ha portato alla luce il dossier “Sul suicidio di Majakovskij 14-22 aprile 1930”, rimasto chiuso per oltre 50 anni nell’Archivio del Comitato centrale del Pcus. Il suo ultimo libro, “Il defunto odiava i pettegolezzi” (Adelphi), è la cronaca a più voci e da diverse prospettive dell’ultimo giorno di vita di Majakovskij. Non una biografia, ma una “necrografia”, ha scritto in una sua recensione Valerio Magrelli. Anche se non c’è dubbio che quel giorno, quell’infausto 14 aprile 1930, quando l’Etna esplode, contiene tutta, ma proprio tutta, la vita del più importante poeta della rivoluzione russa, spenta dallo stalinismo.

“Uscii, feci qualche passo verso la porta d’ingresso. Echeggiò uno sparo. Le gambe mi si piegarono. Mi uscì un urlo e mi lanciai per il corridoio: ferma davanti alla porta non riuscivo, non potevo entrare. Prima di decidermi, mi sembrò che passasse un’eternità, anche se in realtà fu solo un attimo: nella stanza c’era ancora la nube dello sparo. Vladimir Vladimirovic giaceva sul tappeto, con le braccia allargate”. Così la Polonskaja in quella sua memoria. No, non ci sono misteri intorno alla morte di Majakovskij: “Il defunto odiava i pettegolezzi” non concede nulla al romanzesco e fa piazza pulita di qualunque dietrologia. “Della mia morte non incolpate nessuno e, per favore, niente pettegolezzi”, avvertì lo stesso Majakovskij nell’ultimo biglietto. Che cosa c’era, d’altronde, da spettegolare ancora? Il cosiddetto “ménage a trois” con Lili e Osip Brik – con i quali viveva al 15 di vicolo Géndrikov, una camera da letto a testa – era terminato da tempo. “Lilja Jur’evna mi disse che dei quindici anni vissuti insieme, gli ultimi cinque lei e Majakovskij non erano più intimi”, ha scritto un’altra donna che gli fu vicina, Galina Kataniàn, in un altro “memoir”. Non a caso, quando Vladimir si suicidò i due erano a Berlino (i funerali si dovettero ritardare per consentire il loro rientro). Ma se ne dissero tante, perfino che Lili lo controllasse per conto del regime (mentre il “Cucciolo” era pazzo di lei, che – questo sì – esercitava un forte ascendente su di lui).

Anche nei rapporti con le altre donne tutto è chiaro. Era insistente, tenero, focoso. Ne amò tante, piccoli amorucci e grandi amori, non sopportava i no: “Sempre no, sempre no, sempre no”, sbottò una volta con una di loro, che non accettò un invito al caffé. Ebbe anche una figlia dalla moglie di un medico che conobbe durante il suo viaggio negli Stati Uniti. Era il 1925. tre anni dopo mamma e bambina si trovavano a Nizza, Majakovskij volò da Parigi per andarle a trovare, come raccontò egli stesso a Lilj in una lettera dalla Francia. Che fine avrà fatto la figlia di Majakovskij? Avrà saputo del suicidio? Si disse anche, per restare ai pettegolezzi, che si era ucciso perché malato di sifilide, ma anche questo non era vero, come dimostrò l’autopsia. Anni prima qualcuno aveva raccontato a Maksim Gorkij che Majakovskij si era preso la malattia e aveva infettato una ragazza, assicurando di averlo saputo da un medico. Gorkij non smentì quella stupida voce e questo provocò la rottura tra i due.

Non è un pettegolezzo, invece, che alle otto di sera, dopo che il cadavere era stato trasferito dallo studio all’alloggio di vicolo Géndrikov giunse un uomo alto e robusto dell’Istituto del Cervello, venuto per prelevare quello del poeta. Ai presenti sussurrò: “L’influenza ha un effetto deprimente per la psiche”, riferendosi allo stato di salute di Majakovskij degli ultimi mesi. Pochi giorni dopo, nella stessa casa, arriverà una cartolina che Lili e Osip scrissero da Amsterdam, prima di raggiungere Berlino, nelle stesse ore in cui il “Cucciolo” si sparava: “Che splendidi fiori crescono da queste parti! – c’era scritto – Veri tappeti di tulipani, giacinti, narcisi”. Uno era stato reciso.

 

 

 

 

 

 

About author